VARIE

Molti detti non sono facilmente inquadrabili tra gli argomenti visti in precedenza, oppure hanno valenza plurima. In questa pagina  proverbi e detti che fanno riferimento alle situazioni più varie e imprevedibili.


 

El é  ora  de  ‘ndàr

ónde  che  no  passa   i  car!

(è ora di andare ove non passano i carri; è ora di andare a letto)

 

El é  ora  de  ‘ndàr  a  punèr

(Equivale alla precedente; punèr è il pollaio in cui le galline trovano rifugio la sera presto)

 

El é  ora  de polénta!

(è ora di andare a mangiare. Il mangiare per antonomasia era, naturalmente, la polenta)

 

Se el fha la corona tel scudelìn, el vin el é proprio bón!

(Se il vino fa la corona nella tazza, allora è davvero buono! Il vino, rosso o nero, mantiene la corona, se il colore lasciato sul bianco della scodella persiste dopo che il livello del vino è sceso)

 

 

El é an refugium pecatòrum

(E' luogo in cui trova rifugio ogni genere di sbandati; ricordato da Valerio)

 

 

Ghe ól ndàr a dormìr co le pìte e levàr su col gàl

(Bisogna andar a dormire quando vanno le galline e alzarsi quando si sveglia il gallo. In poche parole a dormire presto e alzarsi presto; lo imponevano i lavori agricoli estivi che non finivano mai)

 

A 'ndàr in dó ogni santo el jùta!

(In discesa ogni santo aiuta! E' facile scendere, la fatica è salire!)

 

El   squasi   el  é  parént  del  gnint

 ("Quasi" è parente di "nulla")

 

 

Anca  'l    òcio el  ól  la so  part

(Anche l'occhio vuol la sua parte; non va trascurato l'aspetto estetico)

 

 

Fhàt par contentàr el òcio

(Cosa fatta per accontentare l'occhio, solo apparenza priva di sostanza)

 

 

Adìo    bisi!

(Addio piselli: é finita; tutto è rovinato. Tipica  esclamazione di chi si trova di fronte a una coltivazione di piselli, assai delicati, pestati dalla grandine)

 

 

El  ghe à  dàt  el   sachét

 (Gli ha dato il sacco; l'ha congedato(a))

 

El ghe va drìo a ùsta

(Lo segue affidandosi all'olfatto, come un segugio fa con la lepre)

 

El sac no'l sta in piéi se no'l é pién!

(Il sacco non si regge, se non è pieno; si affloscerebbe, così come capita una persona a digiuno; veniva detta per incoraggiare a mangiare)

 

El é lu che 'l tira la caréta

E' lui che sostiene la famiglia

 

El é an laóro mostro

(E' un lavoro duro e impegnativo)

 

No son bon de 'ndàrghe fhóra col antón

(Non sono capace di completare l'andana. Non sono in grado di risolvere il problema)

 

 

Se   s'ciòpa   la Val  de Tina

Porfhén  el  va  en  ruìna

 

(Se scoppia la "Val de Tina"  Porcen va in rovina. Val de Tina è un "boràl" (piccola valle ripidissima, su cui vengono fatte scendere le "bore", i tronchi di faggio da trasformare in "stèle" per la stufa) sul fianco delle propaggini del Tomatico più prossime a Porcén. Vi si trovano delle sorgenti, e in occasione di piogge intense alimenta un torrente (Brén) che in molte occasioni ha arrecato danni al paese; anche il 20 settembre 1999 inondò la piazza, dopo aver fatto scoppiare la condotta sotterranea. La piena più rovinosa si ebbe il 4 novembre 1966, con piazza e strade sommerse in vari punti da montagne di detriti, in altri incise da  erosioni  così profonde da rendere precaria la stabilità di alcune abitazioni; in quell'occasione diedero man forte al Brén altri due corsi d'acqua, la "Grava dei Càrpen" a Est e la "Val de Sir" a ovest del paese. La Val de Sir non è stata regolamentata, mentre per gli altri due corsi d'acqua sono state realizzate opere di contenimento.
I timori di qualche malanno per Porcén, proveniente dal Tomatico, sono stati  alimentati pure da forti boati provenienti dalle radici del monte (in direzione della Val de Tina) intorno al 1850. Secondo alcuni il "fenomeno di detonazione sotterranea" sarebbe stato provocato dalla "caduta di grandi massi e da frane sotterranee in ambiente ricco di caverne sotto il Tomatico stesso". Da questi rumori, probabilmente, il timore per lo "scoppio" della Val de Tina)

 

Tu cor pi d'en sciantìss!

(Corri più d'un fulmine, sei più veloce di un fulmine. Pronuncia: s'ciantìss; s e c non formano un unico fonema)

 

 

Tu  a  la  panfha  sul  fhil  de  la  schéna!

(Hai la pancia sul "filo della schiena", ovvero: sei tanto magro che la pancia tocca la colonna vertebrale; così le madri speravano di convincere i bambini a ingurgitare la famigerata minestra)

 

 

La   bóca   no   l’é  straca

se  no  la   sa  da  vaca

(La bocca non è stanca, se non sa di mucca: un buon pranzo deve finire col formaggio)

   

Biànc de matìna, ross de sera

Bianco la mattina, rosso la sera. Si parla di colore del vino: gli studi hanno confermato la validità scientifica del detto. Da Stefano di Rasai

 

El vin el fa bon sangue, l'acqua la marfhìss i pài

Il vino bevuto diventa buon sangue, l'acqua invece marcisce i pali

 

La manèra no la fharìa dàn se el bòsch nol ghe dèsse el mànech

(La scure non farebbe danno, se il bosco non le fornisse il manico! Spesso è proprio la vittima a fornire al carnefice gli strumenti con cui la tortura. Un saggio detto ricordato oggi3-3-13 da Marco Zanella)

 

Sant'Antòni mèfh de gnèr

an quart de sórc e mèfh fhenèr

(San Antonio (abate) di metà gennaio, un quarto di granoturco e metà fieno: questa deve essere la situazione in magazzino, a metà gennaio, riguardo ai consumi. Esempio di programmazione  nell'antica azienda agricola familiare: i santi sono sempre d'aiuto!)

 

Sant'Antoni mèfh de gnèr

an tèrfh de légne e mèfh fhenèr

(San Antonio di metà gennaio, un terzo di legna e metà fieno. Altra versione della gestione del magazzino: con un terzo della legna e metà foraggio si può scampare l'inverno. Quel terzo di legna rimasto può bastare a superare i dieci giorni di gennaio e l'imprevedibile febbraio: con marzo il sole è già alto e basterà un po' di fuoco la sera. Notare che nel precedente detto il quàrt de sόrc è quanto consumato, mentre qui il tèrf de légne dovrebbe rappresentare la rimanenza: i proverbi devono sapersi adattare a ogni evenienza, l'ambiguità è il loro punto forte; vanno "interpretati e adattati", come la Bibbia!)

 

Par San Piéro  le fa 'l pugliéro

(Per S. Pietro fanno il baco: sono le ciliegie; pugliero non è termine tipicamente porcenese (si usa bìss), ma necessario per la rima)

 

 

Còta  o  cruda   

come  che  ‘l  fógo  l’à  veduda

(Cotta o cruda, così come il fuoco l'ha vista! In altre parole: ora la tolgo dal fuoco (la pasta, la minestra, ...)   Equivalente a: adesso basta!)

 

Co tu parla del diàul spunta i corn (tu ghe vét la cóa)

(Parli del diavolo ed ecco che spuntano le sue corna (si vede la sua coda). Lupus in fabula!)

 

I à broà su

(Hanno lavato i piatti; in senso figurato: hanno risolto la questione)

 

 

I à tacà botón

(Hanno attaccato bottone: si son messi a chiacchierare, e non smettono più)

 

 

I é come do schèi!

(Sono come due monetine uguali: hanno una somiglianza impressionante)

 

 

Bàter la fhémena, bàter le nόss, butàr via neve:

laóri fhati par gnìnt

(Picchiare la moglie, bacchiare le noci, spalare la neve: lavori inutili ("fatti per nulla"). Le noci cadrebbero a terra comunque, la neve si scioglierebbe prima di aprile, la moglie... è addirittura controproducente. Il detto è indicatore di mentalità maschilista: donna ridotta a oggetto come la neve o un albero di noce)

 

 

Beati i ultimi

se i primi i à creànfha

oppure

i ultimi i se la campa

se i primi i à creànfha

 

(Fortunati gli ultimi, (gli ultimi se la spassano) se i primi sono stati rispettosi. Cioè gli ultimi arrivati possono anche trovare abbondanza di viveri, se coloro che li hanno preceduti non sono stati avidi)

 

 

Chi a creànfha

se la campa

chi no ghe n’à

se la campa mèjo

(Chi è educato vivacchia, chi è arrogante vive  meglio!  ... E si parla tanto della saggezza e dei nobili insegnamenti dei proverbi!  Ma ... a Porcen avevano previsto con tanto anticipo l'arrivo della  viperaBerlus?)

 

 

L'é la mèrda che fa la magna!

(E' dal letame che vengono i prodotti da mangiare!)

 

 

An da èrba

an da  mèrda

(Anno con elevata produzione di fieno, è un anno da (di)  merda!. Naturalmente, grazie alla disponibilità di foraggio, le mucche potranno mangiare a sazietà, e la produzione di letame sarà direttamente proporzionale alla quantità di fieno consumato; ma anche questo detto è ambivalente, e lo si può interpretare così: se cresce molta erba, è perché piove tanto, e l'umidità eccessiva fa marcire tutte le produzioni)

 

 

Puìna:

pì  che  tu ghén màgna,

manco  tu camìna

(Ricotta: più ne mangi, meno cammini. Lo scarso potere nutrizionale della ricotta non era certo apprezzato da chi, obbligato a lavori pesanti e richiedenti elevato sforzo fisico (tutti i Porcenesi di cinquanta e più anni fa), necessitava di alimenti sostanziosi)

 

El  óvo el gnén dal bèc

(La gallina fa uova se è ben nutrita; ampliando il discorso: se vogliamo un output consistente, non dobbiamo far economia sull'input)

 

Su démo,

che el  sól va de bànt!

(Su, andiamo, perché il sole scalda per niente!  Fienagione: momento fondamentale nella vita dei paesi di campagna, quando la possibilità di sussistenza era affidata alla presenza delle vacche, che garantivano latte, formaggio, burro, forza motrice, fertilizzante per il prato che permetteva un incremento della produzione di erba, e questo a sua volta permetteva di aumentare il numero di animali, con un conseguente aumento di concime... Un ciclo produttivo perfetto e sufficiente a garantire una magra sopravvivenza alla popolazione; ciclo estremamente delicato, in cui anche un inconveniente meteorologico, ad esempio un eccesso di piovosità nel momento della essiccazione dell'erba (fén, ardìva e terfalìn corrispondenti a primo, secondo e terzo taglio) poteva introdurre fattori di disturbo assai pesanti: riduzione della quantità di foraggio prodotto significava riduzione del numero di mucche, e quindi di latte e formaggio; in sostanza fame e miseria si andavano ad aggiungere alle condizioni di vita durissima già presenti in situazione normale. Il messaggio di incoraggiamento a partecipare ai lavori di essiccazione del fieno  ha quindi una motivazione profonda: contribuire a tener in piedi un "sistema"  di vita)

 

Ghe n'é pi dì che lugàneghe

(Ci son più giorni che salsicce; in altre parole, le scorte di cibo scarseggiano)

 

Mi me basta 'n piàto de bóna fiera

(A me basta essere accolto con buone maniere; viene detto da un ospite cui si propone di bere o mangiare qualcosa e gentilmente rifiuta. Me l'ha richiamato alla memoria il parroco Valerio)

 

 

'Ndar da Marco a Madòna

(Andare da Marco a Madonna: girovagare senza una mèta precisa)

 

 

Na parola no la é mai ben dìta

se no la é ben capìda

(Una parola non è mai detta bene, se non è capìta bene)

 

 

Se diss el pecà, nò chi che 'l'à fhàt!

(Si dice il peccato, non chi l'ha fatto (il peccatore))

 

 

De na ponta in pié

e de na fhémena butàda

no se conòss la portàda

(Non si riesce a immaginare la portata di una "punta" in piedi(verticale), o di  una donna distesa; il carpentiere (Nani Caporal) da cui ho appreso il detto, sosteneva con grande convinzione che bastano poche punte a sostenere il peso del calcestruzzo appena gettato in un solaio; in qualche occasione le "armature" diedero segni di cedimento)

 

 

Se i me dèsse le rédene del taremòt!

(Se dessero a me le redini del terremoto! Come la precedente, sentita da Nani Caporal)

 

 

No sta assàr  fhorca e restèl coi dént in su,

parché tu fha piànder la madòna!

(Non lasciare forca o rastrello con le punte all'aria, perché fai piangere la madonna! Veramente a piangere sarebbe stato lo sfortunato che avesse urtato i "denti", soprattutto quelli della forca, affilati e causa di possibili infezioni; in particolare i bambini, sempre a correre senza badare ai pericoli, erano vittime di questa tipologia  di incidenti)

 

 

Come darghe 'na fraga all'órss

(Come dare una fragola all'orso; fornire un niente, rispetto alla necessità)

 

 

A  dobòta!

(A dopo, a fra poco)

 

 

A ogni mort de papa

(Ogni volta che muore un papa; di tanto in tanto, ma raramente, perché i papi durano!)

 

 

Sta cét!

(Sta' calmo; cét=quieto)

 

 

El à fhàt stèle

(E' andato in mille pezzi. Stèle sono i pezzetti di tronco, ridotti a dimensione di stufa)

 

La prima pita che  canta

l'é quela che à fhàt el ovo

(La prima gallina a cantare è quella che ha fatto l'uovo.  Veniva anche detto a chi, dopo la diffusione di un inconfondibile olezzo, chiedeva: "chi è stato?")

 

El se à ciamà fόra

(Si è autoescluso dalla partecipazione ad un evento)

 

 

El se à (me son) incucà

(Gli si  è  (mi si è) bloccato il boccone nell'esofago. Probabilmente deriva da un modo di cantare del cucùlo (cùcc) che, se adirato o eccitato, emette una raffica di "cu-cu" ravvicinati.)

 

Jèsumaria!

Gesùmmaria! Esprime sorpresa e stupore, ma anche paura

 

Jèsu barèa!

Esclamazione intraducibile, vien pronunciata nel provare ribrezzo o schifo nei confronti di una situazione

 

El à proà a cavar radìci!

(Ha provato a levar radicchi; cavar radìci nel senso di indagare con insistenza, in profondità, per soddisfare la curiosità)

 

 

 

Ghe ól ónder el cariòl, se no tu ól che la ròda la fìghe!

(Devi ungere la carriola, se non vuoi che la ruota cigoli! Se vuoi che le cose vadano bene, devi pagare! Pessima abitudine assai radicata in Italia)

 

 

Chi no sa fhar botéga sère!

(Chi non è adatto al commercio, chiuda la bottega! Chi non è gentile e si mostra accondiscendente coi clienti è destinato a fallire; "il cliente ha sempre ragione", ha detto qualcuno)

 

Val pi la pratica dela gramatica

(L'esperienza concreta conta più della conoscenza teorica. Spesso vien detto con riferimento a persona colta, ma piuttosto  incerta nell'applicazione pratica delle sue conoscenze)

 

Oltà e menà,  son là, noi!

(Gira e rigira, siamo a questo punto!)

 

 

An alt e 'n bàss i fa 'n gualìu

(uno alto e uno basso fanno una cosa giusta (sgualivàr= spianare, rendere tutto uniforme); il detto potrebbe fungere da emblema della statistica: uno alto e uno basso? siamo nella media)

 

 

Ma gnànca se gnén dó manarìn gusàdi!

(Ma neanche se vengon giù asce affilate! In nessun caso, nemmeno se piove accette!. Manarìn è un'ascia leggera, con manico di lunghezza inferiore ai 50 cm. Il tipo più pesante, con manico di circa 1 m si dice manèra)

 

Son restà in boléta; son restà in bràghe de téla

(Non mi è rimasto nulla)

 

Me é gnést el corbàtol

(Mi è venuto il batticuore)

 

 

O'  vist la smàra

(Ho visto la "smara". Lo dice chi, nel sonno, ha un incubo che gli toglie il fiato. Il risveglio è immediato e accompagnato da... terrore)

 

 

No ò pi gnànca 'n brùstol

(Non ho più neanche un centesimo, sono al verde)

 

No vàe  agnón

 (Non vado da nessuna parte. Ricordato, come il successivo, da Marco)

 

 

'Ndàr a stròfh  ;  'ndàr de strofhόn

(girovagare)

 

Cuàndo?   El dì de San Mai!

( Quando?  Mai!  Coinvolgere un santo rendeva meno drastica la risposta, di solito riservata a bambini)

 

Tiràr 'l acqua al so mulìn

(Tirare l'acqua al proprio mulino Me l'ha ricordata Marino, ovviamente)

 

 

El à tirà 'l sass

(Ha lanciato la pietra; nel senso di effettuare una prova, un sondaggio, una provocazione)

 

El sta là ala remòta del sol

(Se ne sta in pieno sole)

 

Chi no sa de luna nol varde luna

(Chi non conosce l'effetto della luna (su piante e semine), non la consideri)

 

 

Farse an capèl par na piova sol

(farsi un cappello per una sola pioggia; detto di "persona che ti frega nel commercio o che ha tradito la tua fiducia"; quella persona non avrà un'altra occasione per arrecarti danno. Marco lo ricorda citato spesso dal nonno Richeto)

 

 

San Benedét  el  ghe  n'à  magnà  'n  tochét

(San Benedetto ne ha mangiato un pezzettino! Questa spiegazione "scientifica" veniva offerta ai bambini che chiedevano perché mai dall'uovo sodo mancasse una piccola calotta. Cuocendo l'uovo, il volume della sostanza interna al guscio subisce una piccola contrazione)

 

 

San Piéro  el dìss el vero!

(San Pietro dice la verità; si pronuncia quando l'interlocutore incappa in un lapsus rivelando  -lo dice pure Freud-  quello che veramente pensa)

 

 

Co se gnén vèci, se gnén come i tosatèi

(Quando si diventa vecchi, si diventa come i bambini)

 

 

Méteghe an s'ciànt de sal sula cόa!

(Mettigli un pizzico di sale sulla coda, e riuscirai a prendere l'uccellino. Così la raccontavano ai bambini; il detto si era poi esteso alle situazioni più svariate, in cui si mirava a cogliere qualcosa di irraggiungibile)

 

La tèra ferma tut

(La terra ferma tutto. Viene detto a consolazione di chi si è lasciato sfuggire dalle mani qualcosa; come dire "ti è ancora andata bene che c'è la terra a raccogliere tutto quel che cade")

 

Parola torna indrìo!

(Parola torna indietro! Quando ci si rende conto d'aver detto una sciocchezza; ancora in uso)

 

O tùt o gnìnt!

(Non c'è via di mezzo: o tutto o niente!)

 

Otu ciapàr el mal del vècio?

(Vuoi ammalarti di vecchiaia? Veniva detto a persona più giovane che beveva da bicchiere già utilizzato da un anziano)

 

 

Fhorfha  e coràjo

che la vita l'é  'n passàjo!

(Forza e coraggio, perché la vita è un "passaggio",  una meteora di breve durata; parole che pretendono di dare incoraggiamento, mettendo in evidenza l'insignificante peso di un essere umano e della sua vita)

 

 

-Elo  mort  da  ché?

a) -da 'n colpo

b) -da 'n brut mal

c) -el se à desmentegà de tiràr el fhià

(Di che cosa è morto? a) morte improvvisa e inaspettata  b) morte avvenuta dopo severa sofferenza (si deve dedurre che il caso a) sia 'n bel mal)  c) si è dimenticato di respirare (il defunto doveva stare antipatico a chi ha dato la risposta)

 

 

Cossa otu fhar,

un ala òlta

ón da 'ndàr tuti

Che vuoi fare, uno alla volta ce ne dobbiamo andare tutti; frase di convenienza, detta in situazioni meste, otteneva l'effetto di rendere ancora più triste chi era colpito dal lutto)

 

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TORNACASA