Life's flash
Tanti termini per indicare particolari aspetti della vita paesana, soprattutto "di allora", talvolta anche in netto contrasto con la ben consolidata tradizione un po' bigotta
Pifhàl pal dét col panarìf
Protezione per un dito che soffre di giradito. Il pifàl (o pihàl), in stoffa resistente o cuoio morbido, aveva forma di piccola cupola e vi si infilava il dito dolorante, per proteggerlo dagli urti; il panarìf poteva anche essere una infezione all'unghia
Buànfhe; diaulìn
Geloni; dita intirizzite e doloranti per il freddo; si tratta, in pratica, di inizi di congelamento, rispettivamente ai piedi e alle mani
Te dàe el mómo; ótu muma?
Ti do una caramella; vuoi da bere? Termini riservati ai bambini
Bàu ... sète
Così, per gioco, si ripeteva più volte ai bambini piccoli: mentre si nascondeva il volto (bàu) per ricomparire poi all'improvviso (sète)
Le slàche; el se à slacarà
Le gambe; è andato a gambe all'aria
O' ciapà na sc'ésa sul dét; el é sc'esà
Mi si è infilata nel dito una sottile scaglia di legno; è fessurato (se un oggetto), è incrinato (se un osso)
Schègn e banca
Lo schègn (gn=ñ come in gnomo) è una panchina monoposto, nelle nostre zone spesso a tre zampe; Banca: panca, con quattro zampe e due o più posti
Cómet
Il gomito
Schìtt de pita
Escremento di gallina
Subiàr, vis'ciàr
Zufolare, fischiare
Nasàr
Fiutare
Nisàr la pèfha de fhormài
Iniziare la forma di formaggio. Nisàr= iniziare. Pèfa: straccio, pezza; da pezza a forma di formaggio, forse perché la pasta di formaggio viene raccolta con una tela, prima d'essere sistemata nella forma?
El vestì el é tutt strupià
Il vestito è tutto spiegazzato, sgualcito
La còtola la se à smarì
La gonna ha perso il colore
Vestì da fhèsta; vestì da idòpera
(Abito per la festa; abito da lavoro)
I fhopèi; le fhavàte; le dàlmede; le galòfhe; i fhòcoi
(Tipo di calzatura aperta dietro, con tomaia che copre buona parte o tutto il davanti del piede. Più solidi e robusti delle ciabatte (le f(h)avàte), i fhopèi sono utilizzati anche all'esterno. Le dàlmede: calzature con base in legno e tomaia bassa; per ridurre il consumo della suola vi si fissavano chiodi corti (max 2 cm) con testa grossa (le bròche); le galòfhe avevano la tomaia più alta delle dàlmede; gli zoccoli, naturalmente di legno, di solito privi di bròche visto che non se ne faceva un uso "pesante". Tutte le calzature con suola in legno portavano, nella punta della suola, un archetto metallico fissato con chiodini, per proteggere la parte più esposta agli urti e all'attrito).
La pégola
(La pece. Utilizzata nella riparazione e nella costruzione delle calzature)
Le tiràche
Le bretelle
El batòcio
Il batacchio della campana
Canpàne
Quello delle campane era l'unico suono ad accompagnare la vita dei paesetti, e scandiva con diverse forme i momenti più significativi della giornata. Mattina e sera col suono dell'<Ave Maria>; allegro e veloce quello del mattino, più grave quello della sera. L'ora variava a seconda della stagione e delle abitudini di ciascun villaggio: il mattino all'alba, la sera sull'imbrunire. D'estate le campane suonavano alle cinque, cinque e mezza o sei, per dare la sveglia. Con l'affievolirsi del "sentimento religioso" cominciarono le prime proteste di chi si sentiva disturbato o svegliato dalle campane troppo presto, e gradualmente il suono dell'alba fu abolito. Rimane ancora, in molti paesi, il suono serale. Ovunque rimane il medodì, che di venerdì si suona dόpio, non con una singola campana
El canpanò, i sbotedéa, i sóna da fhèsta, i sóna da mòrt
Campanò: suono ottenuto battendo ritmicamente un martello su una campana, effettuato in occasione di importanti ricorrenze: per qualche giorno prima della festa del patrono, durante le processioni, per la visita alla parrocchia di un importante prelato. I sbotedéa: iniziano a suonare: con una sola campana, quella dal suono più acuto, la pìf(h)ola (bòt=rintocco). Suonano a festa (tutte le tre campane). Suonano a morto, con la sola campana dal suono grave (cuéla gròssa) o con due (cuéla gròssa e la medàna), in modo che il tempo tra un battito e l'altro sia maggiore che nel suono normale
Le gréi
Strumento utilizzato per sostituire il suono delle campane, che venivano "legate" giovedì, venerdì e sabato nella settimana santa. Emetteva un suono stridulo, analogo al gracchiare, prodotto da una ruota dentata di legno durissimo, che ruotando urtava coi denti una superficie che amplificava il rumore secco degli urti
I à dàt i bòtt, i a dat i ségn
Han dato i rintocchi; i nove rintocchi che annunciano la "partenza" di una persona. Bòtt è pure un pezzo di tronco d'albero. Han dato "i segni": suono di campane che annuncia il funerale del defunto: in genere mezza giornata prima del funerale stesso
La bestemadóra
Non è il tempio particolare di qualche nonreligione del paese, ma una zona "off limits" della chiesa di Porcen, compresa tra due porte, il portone esterno e una porta interna dell'ingresso secondario, utilizzato in prevalenza dai maschi. Le due porte limitavano uno stanzino (circa 4/5m²) in cui stavano quelli che avevano voglia di far quattro chiacchiere, anziché seguire la messa; il nome appropriato chiarisce la tipologia di discorsi che vi si facevano.
La otàva de Pasqua
(La domenica successiva alla Pasqua. Ricordo quella del 1958, il 13 aprile, preceduta da una nevicata abbondante e assai pesante, che arrecò disagi e grandi danni anche perché imprevista e ormai "fuori stagione")
El caudeàn
(Capodanno)
I se à catà da dir; i se le à date
Han litigato; si son picchiati
Ndàr a opera
(Andare a lavorare. In genere si trattava di lavori saltuari e occasionali, legati a particolari momenti della "vita agricola": la fienagione, la vendemmia, il taglio della legna, il trasporto di foraggio...)
I se à assà
Si sono "lasciati": han rotto il fidanzamento, il matrimonio, ...
El é 'ndàt dó de brafhón
E' andato giù (caduto) violentemente. Brahòn: accrescitivo di bràh=braccio
Pién de ónpole par le becàde dele zanzàre
Pieno di rigonfiamenti per le punture delle zanzare (pronuncia la "z" di zanzare come "s" di casa): όnpola è il tipico rigonfiamento, accompagnato dall'indurimento della pelle, provocato dalle punture degli insetti
Tu màca dó massa!
Schiacci (premi) troppo!
Son drìo patajàr; an patài
Sto facendo cose di scarsa importanza; una cosa insignificante
Mùssa e mussét; musséta (mussatèla) e fheràda
Slitta e slitta corta; slittino e slittino con pattini di ferro. I primi due, mezzi di lavoro; gli altri due, fino agli anni '70, il principale strumento di divertimento per i ragazzi dal tardo autunno a inizio primavera. Mùssa: normale slitta con tre assi portanti, idonea al trasporto della legna (pezzi di tronco lunghi poco più di due metri) e del fieno; mussét: più corto (solo due assi trasversali) e molto robusto: idoneo a trascinare tronchi interi, o lunghi almeno 4 m (tàje de péf): la testa dela tàja fissata sul mussét mentre la coda strisciava per terra. Gli slittini erano quasi tutti dotati di pattini di ferro (feràde); pattini da neve (a sezione circolare, e pattini da giàff, sottili, per tenere nel ghiaccio vivo. Sulle feràde si poteva scendere in sentòn (seduti) o in panfanàra (sdraiati a pancia in giù), posizione "proibita" per vari motivi: la testa sarebbe stata la prima a picchiare; era anche più difficile la guida, da fare con le punte degli scarponi che così si rovinavano in fretta: premendo il terreno con la punta destra della scarpa si girava a destra e al contrario a sinistra. Stando invece in sentòn, più o meno supini, si guidava facilmente col bachét: il bastoncino azionato col braccio fungeva da timone; spostato a sinistra permetteva la curva a sinistra, spinto sulla destra faceva curvare a destra. Differenze tra feràda e musséta: la feràda è compatta e massiccia, i pattini stanno alla base di due robuste tavole (pàrmole=fianchi, natiche) che fungono da supporto alle tavole orizzontali su cui ci si siede: queste sono disposte in modo da formare una depressione nella parte centrale, per rendere più stabile e sicura la seduta: sobbalzi e scossoni potrebbero far scivolare a terra guidatore ed eventuale passeggero. La mussatèla è il classico slittino, costruito con assi sottili e quindi più leggero.
Ndόne a fhisolàrse? Me àsetu fhar 'n gòdo cola fheràda?
Andiamo con lo slittino? Mi permetti di fare una discesa con lo slittino?
El tratadór
Pista per slittino, ricavata su un cumulo di neve. La neve dei cortili veniva ammucchiata al centro degli stessi. Dalla cima del mucchio, nella parte non esposta al sole, la neve veniva levigata e battuta ottenendo così uno scivolo, sul quale era possibile fare un breve gòdo con lo slittino. I ragazzini potevano così divertirsi senza allontanarsi troppo; evitavano le piste veloci e pericolose, e rimanevano sotto l'occhio vigile dei parenti
Se sta a sùma
Si rimane in superficie, non si sprofonda. Quando la neve bagnata rigela permettendo di camminare sopra
Tu a fhàt na bèla menàda!
Hai fatto un gran mucchio di tronchi! Menàda da menàr=condurre, portare. Un significato particolare del termine (interessante nella vita del paese per gli scherzi che si facevano un tempo) nella frase: "stanòt i a fat menàda". Dopo aver bevuto nei quattro adiacenti bar del paese e aver fatto "le ore piccole", gli allegri amici burloni (era quasi d'obbligo per i coscritti, ma lo facevano anche altri, non solo giovani e non una sola volta l'anno), complice il buio della notte, visitavano cortili e baracche, sequestravano attrezzi d'ogni tipo, dai carri alle scale, dalle slitte ai badili, ammucchiando il tutto nella piazza del paese. L'indomani la processione dei proprietari, per recuperare gli "attrezzi perduti".
Bigòl
Arconcello: assicella di legno, sagomata ad arco, recante a ciascuna estremità un gancio; utilizzato per il trasporto a spalla di due recipienti, agganciati alle opposte estremità. Da non confondere con bìgol!
Mafhùja
Mazza, pesante martello per spaccar pietre, ceppi, abbattere muri; dotato di lungo manico per moltiplicare l'energia
Scajaròla, scàja
Pialla a mano; truciolo prodotto dalla pialla (bugia), scaglia di legno
An piàto de lavacojóni; slavarùch
Un piatto di lava coglioni. Si dice a proposito di un piatto di minestra troppo diluita, col brodo somigliante ad acqua e tanto privo di condimento, che ci si potrebbe lavare... Slavarùch è un sinonimo del precedente
La polenta coi pòtoi
Polenta con i "potoi": questi sono dei grumi di farina non impregnati dall'acqua, quindi non cotti. Si formano quando la farina non si scioglie nell'acqua, perché buttata in quantità eccessiva: i grumi di farina, avvolti da una superficie bagnata ma impermeabile, non si sciolgono, ma induriscono senza cuocere perché la farina, dentro la sferetta, rimane asciutta
La sgòdia, la cavernòla
Polenta molto liquida; polenta liquida con latte al posto dell'acqua; varietà di polenta erano spesso usate con sughi
An cùcc de sgnàpa
Un bicchiere di grappa. El cùcc era un particolare bicchiere (contenuto circa 0,125 litri) dalla caratteristica forma a clessidra
Nol sa da gnìnt!
Non ha nessun gusto. Ad esempio il piatto di cui sopra
Le bùcole
Gli orecchini
Sc'iào!
Parola usata a terminare una conversazione dalle conclusioni sconfortanti e pessimistiche; si può avvicinare al significato dell'esclamazione "pazienza!", talvolta pure usata nella forma "passienha!" Le lettere "sc" non formano un fonema, come in sci: pronunciare come s'ciόss.
Sc'iàrma, sc'iòna
Vistoso pendente circolare per orecchie o naso (come quello portato da alcune popolazioni primitive). Anche anello di ferro, vincolato a un muro, cui legare con fune o catena un animale (Cavallo, mucca,...). Pronuncia: s'ciàrma ove "sc" non costituisce un unico fonema come in "scimmia"
An sc'iànt; an sc'iantenìn
Un po'; un pochino. Pronuncia di "s'c" come sopra
'Ocio che tu chèi!
Attento/a (òcio!= attento!) che cadi!. La frase, gridata in classe da una studentessa a un'amica la cui sedia era troppo inclinata, incuriosì il simpatico prof di inglese a causa di quel to key
Tu sé ciùkk
Sei ubriaco. Ciùk veniva chiamato anche l'assiolo, che da aprile a luglio, nei boschi, rompe il silenzio della notte col suo malinconico canto: Ciùk ciùùk ciùùk...
Bombàso o bombasìna
Cotone
El se càta bén
Si trova bene, a suo agio
Tu sé intént
Ti sei sporcato; ad esempio passando una mano sulla fronte, dopo aver toccato il fondo di una caldaia o carbone
El bofholà
Dolce col buco al centro. Era il dolcetto tipico delle sagre di una volta
Baléta, viérola, vierolón
Pallina di terracotta, sferetta di vetro, sfera di vetro di dimensioni maggiori. Usate un tempo nel gioco con le palline, che erano normalmente di terracotta colorata. Quelle in vetro, più pregiate, venivano usate per catturare le altre, e se erano di dimensioni maggiori era più semplice colpire quelle di terracotta per catturarle. Le vierole erano colorate nel vetro all'interno della sferetta
Bìscol, biscolò
Altalena. Veniva spesso appeso al ramo orizzontale di un albero
Sghìnf (sguìnf); ò ciapà na sghinfàda
Schizzo d'acqua; sono stato bagnato dagli schizzi, come quando una vettura prende una pozza d'acqua e "lava" i pedoni sul marciapiedi
Tu sé mói pastròff
Sei bagnato fradicio
Par tiràrte su, fàte an bèl sbatudìn
Per riprendere forza, fatti un uovo sbattuto
Le cròfhole
(Le stampelle)
Ndàr a tόnbole (far an tonbolón)
Rotolare, cadere e rotolare
Dugàr a spùfha
(giocare a puzza; un gruppo di ragazzi impegnati a rincorrersi: uno di loro (tirato a sorte o volontario: in tal caso proclamava: "Spùfa méa!") era il portatore della puzza, che scaricava su un altro non appena lo toccava; questo a sua volta procedeva allo stesso modo, cercando di trasmettere la spùfa al primo amico che toccava, e ... così via. Il gioco poteva durare più giorni)
Dugàr a cùcc
(Giocare a nascondino; el cucc è il cucùlo)
Dugàr a monta mussèla
(Giocare a montare l'asino; un ragazzo si appoggiava a un muretto o ad altro ragazzo e piegava la schiena tenendola orizzontale; altri, con breve rincorsa, saltavano a cavalcioni su questa schiena orizzontale. Mussèla è, probabilmente, diminutivo femminile di muss = asino)
Saèr da cagnón
Puzzare come un grosso cane. Tipico odore di chi suda tanto, non cambia abiti e non si lava da tanto tempo
Fhormigàrse, fhormigàr la soprèssa
Affumicarsi, affumicare il salame
Capòfhola
Capriola, capitombolo
Fhèpega, pèca
Orma. La pèca è quella lasciata dagli animali, mentre la fhèpega è riferita, di solito, all'orma di un essere umano
Sbaregàr
Urlare; parola quasi onomatopeica
Sgravatàr
Strisciare con forza le suole sul terreno, in uno sforzo di trazione, per arrestare un oggetto in movimento, o per gioco
Sbrissàr
Scivolare
Màre, pàre, missièr, barba, jèja
Madre, padre, suocero, zio, zia. Barba e jèja venivano anche usati dai bambini per indicare persone più anziane, cui si doveva dare del vù (del voi), non del lu o (ancor peggio) del ti
Pìncio, pinciàr, pinciaròl
Sciocco, far sesso, maniaco del sesso
Molàr an pét
Lasciar andare una scorreggia Probabilmente pèt è onomatopeico
Che schiratàda!
Che dolore improvviso e intenso! Il "colpo della strega"
El me sbàca
Mi provoca un "dolore pulsante" Dolore pulsante causato spesso dalla presenza di pus
El me à petà; el me à petà el rafhredόr
Mi ha picchiato; mi ha attaccato il raffreddore. Tanti termini variano di significato a seconda del contesto
El à petà fogo; el va ch'el péta fogo
Ha provocato un incendio; va così veloce da appiccare il fuoco dove passa
Sciantìss; el sciantiséa
Fulmine (o lampo); ci sono fulmini (o lampi). Il dialetto porcenese non fa distinzione tra fulmine e lampo. Si pronuncia "sc" separato da "i" come in sc'ioss
Son intrigà a fàrghela
A malapena riesco a finire