DIFESA DEL SUOLO
<<Negli ultimi 50 anni sono
stati rari, in Italia, gli interventi finalizzati alla difesa del territorio e
alla manutenzione dell'esistente: si agisce -ma non sempre- dopo che le calamità
sono avvenute, con costi molto più alti e minor efficacia. E' evidente che la
mancata difesa del suolo, in particolare in montagna e in collina, provoca
fenomeni di erosione imponenti; il materiale viene trasportato a valle e
depositato sull'alveo di torrenti e fiumi, man mano che la velocità della
corrente diminuisce; così il letto dei corsi d'acqua si innalza, e aumenta di
conseguenza la possibilità di esondazioni e rotture degli argini, anche in
pianura; la difesa della montagna, dunque, è una tutela anche per la pianura>>
Ho preso questa introduzione da una
pagina del sito, scritta durante
l'alluvione che nel 2010 arrecò danni ingenti nella pianura veneta, in
particolare nelle province di Vicenza, Padova e Verona. Dopo oltre due anni i
lavori di sistemazione e prevenzione procedono a rilento, e i "responsabili"
sperano tanto nella "statistica": <se calamità di quel tipo
capitano ogni 50'anni, possiamo star tranquilli per un bel periodo>. Questa
naturalmente è una "distorsione della statistica a uso personale", una visione
di comodo, rivela pure una profonda ignoranza riguardo a concetti banali
come quello di una media: anche se l'intervallo di tempo tra due
alluvioni fosse mediamente di 50'anni, nulla impedisce che esse possano accadere
in anni consecutivi.
L'abbandono
di territori un tempo curati e utilizzati da agricoltori ha portato con sè il
loro degrado; mentre prima si interveniva al minimo dissesto, arrestando le
conseguenze
che da questo sarebbero derivate, ora anche un piccolo danno (erosione, piccola
frana, rovina di un muro, ...) non viene curato e in pochi anni si può estendere
e approfondire enormemente.
Nell'immagine a lato un esempio di piccolo intervento che può aver impedito un
danno consistente. Ancora nel lontano 1966 la famosa alluvione del 4 novembre
gonfiò a dismisura un corso d'acqua (Val de Sìr), attivo solo in
occasione di piogge torrenziali, che origina (Boràl de Tèla) dalle
pendici del Tomatico a sud del paese. Il torrentello è limitato a valle da
grossi macigni e a monte da un robusto -e in vari punti alto- muro a secco, avente anche la funzione di
sostegno del terreno, al limite di un prato; il letto formato da un grossolano
selciato, allo scopo di impedire l'erosione sotto gli argini e frenare le acque;
la caduta dell'argine a valle avrebbe provocato l'uscita dell'acqua verso il
paese, mentre l'erosione dell'argine a monte poteva (e può) essere causa
dell'innesco di un'erosione ben più consistente. Infatti un tratto di torrente
scorre ai piedi di una collina morenica, facilmente erodibile in assenza del
muraglione di sostegno. E proprio in questo punto l'impeto dell'acqua riuscì a
strappare le pietre alla base del muro, provocandone la caduta per una decina di
metri: era così innescata l'erosione della collina a monte. Il primo intervento,
finalizzato a bloccare quell'erosione, si limitò a consolidare il selciato di
base, e ad elevare un muro alto circa 50 cm, livello ritenuto
massimo per
l'acqua, dove era stato asportato. In seguito altri
interventi contribuirono ad elevare l'altezza del
muro, in modo da fargli riprendere la funzione di sostegno del terreno a monte.
Dopo tanti anni e vari altri interventi, il livello del muro, anche se non
ancora uguale a quello iniziale, è tale da arrestare la caduta del materiale a
monte, e naturalmente bloccare l'erosione delle acque in occasione di
brentàne. In assenza di questi pur piccoli interventi, la nicchia di
erosione si sarebbe estesa investendo la collina. Azioni analoghe a queste, dove
le terre sono trascurate e abbandonate, ovviamente non vengono più realizzate:
il danno derivante all'ambiente dall'abbandono della "cura" dei fondi, associata
alle attività agricole, è ovvio.
DAL PERIODICO MENSILE "TRATTORI"
Articolo tratto da un mensile che non parla in modo specifico di temi ambientali, tuttavia dedica all'argomento "difesa del suolo" queste osservazioni significative; si può considerare indice dell'interesse e preoccupazione che il tema suscita in ogni settore. L'articolo, che, pur sintetico, descrive ampiamente i costi "umani" e quelli economici, evidenzia anche due elementi fondamentali, tra le cause più rilevanti delle piene rovinose: abbandono dell'agricoltura e cementificazione di vaste aree di territorio. Il primo fattore è particolarmente significativo in zona collinare o montana come la nostra. La "cementificazione", termine onnicomprensivo per indicare una trasformazione del terreno che impedisce la crescita di vegetazione, è stata particolarmente devastante nelle zone di pianura, dove gli ettari sottratti annualmente alle attività agricole hanno valori incredibili; ma anche qui non si scherza, dovendosi tener conto della maggior vulnerabilità del territorio, in pendenza più o meno accentuata. Opere quali strade, per fare un esempio banale, se non costruite a regola d'arte e mantenute perfettamente efficienti, possono essere causa di danni enormi; supponiamo che su un tratto di mille metri, e per una larghezza di quattro, a causa di un difetto di costruzione o manutenzione l'acqua piovana non sia correttamente condotta a valle, e capiti un temporale -violento ma non eccezionale- che scarica in breve tempo 50mm di pioggia su quella superficie impermeabile. La quantità d'acqua che attraverserà il traguardo dei mille metri, in un tempo lievemente superiore alla durata del temporale, sarà di duecento metri cubi! Ipotizzata una durata di 40' per l'evento, si avrebbe un flusso medio di oltre 80 litri al secondo; i valori di punta sarebbero naturalmente più elevati. E' evidente che questa massa d'acqua può arrecare danni consistenti, e non solo alla strada!