LA STRADA BASSA
Fino agli anni 1970, per salire ai monti di Porcen venivano
utilizzate due mulattiere: la "Strada Bassa" e la "Strada Alta".
Quest'ultima porta fino ai "Pra de Tomàdech", zigzagando, fin oltre metà percorso,
sul costone che dalla cima del Tomatico scende ai "Nini", a "Prà de Puìna",
a "Tèla" e giù fino alle colline moreniche a sud del paese
(vedi anche dorsale Tomatico-Tèla); più in alto
si sposta leggermente a ovest, sul fianco destro della profonda valle del
Biotìs, e sbuca (m. 1500) su una sella (El Cargadòr), poco pronunciata, del crinale che scende dalla
cima del M. Tomàtico (m. 1595) e va fino al Grappa (Anticlinale M.Grappa-M.Tomatico). Veniva soprattutto utilizzata per il trasporto a valle del
fieno, e per raggiungere quasi tutte le malghe di Porcen, sia quelle situate nel
versante Sud ("Pra de Tomàdech") che quelle poste sul versante Nord del
Tomatico. Oggi parte della "Strada Alta" costituisce
l'inizio della "Alta via degli Eroi" n°8 (www.enrosadira.it/dolomiti/altavia8v.htm) ed è segnata col numero di sentiero
CAI 841. La realizzazione delle strade
camionabili "silvopastorali" ha radicalmente mutato la situazione delle due
vecchie mulattiere, che già avevano il tratto iniziale comune: mentre solo
brevi tratti della "Strada Alta" sono stati distrutti, la maggior parte
della vecchia "Strada Bassa", di cui qui si descrive il percorso, è venuta a coincidere con il tracciato della camionabile
che, dalla piazza di Porcen, sale "La Vila", e quindi
prosegue fin nei pressi della sommità del M. Tomatico, dopo essersi portata, nel
primo tratto, più a Ovest
verso il M. Sassumà.
Rifare il percorso dell'antica Strada Bassa, dunque, significa
camminare a lungo su strada asfaltata; si percorre solo poco più d'un km
sui resti della mulattiera o su sentiero non impegnativo. Non ci sono
limitazioni per quanto riguarda il periodo adatto: nel caso la neve non sia
troppa, è
remunerativo anche l'inverno, quando spesso capita di incontrare una piacevole
inversione termica rispetto al gelido fondovalle feltrino; d'estate l'ombra dei
boschi rende meno assillante la calura: meglio però evitare la camminata nei caldi e assolati
pomeriggi estivi.
Grado d'impegno richiesto:
*. Nella cartina segnato
il vecchio percorso e le "pàuse".
Si può considerare inizio della "Strada Bassa" la piazzola in
cima al paese (quota: 400 m)
ove troviamo, sulla sinistra, i cartelli che indicano l'inizio della strada
silvopastorale consorziale, e la tabella che segna anche l'effettivo punto di
partenza della "Alta via degli eroi" Feltre-Bassano (che in teoria
ha inizio a Feltre).
La pendenza della via non è forte, ma ci si eleva con costanza
sui prati, "i Pradèi", che cingono a Sud Porcén; allo stesso tempo si
amplia la visuale, oltre che sul paese, sull'arco dei monti a Nord, oltre "el
Còl". Dopo un discreto aumento della pendenza, passati tra due antiche
casette riadattate -a sinistra "el Rivòn"- si arriva in
località "Le
Fontanèle": a sinistra, accanto alla strada, sgorga la
sorgente che fino agli
anni 1950 (costruzione dell'acquedotto proveniente dal Calieròn)
alimentava, lungo La Vila, una importante fontana del paese; sulla
destra, alla sommità di un ripido prato ricavato a inizio '900 disboscando
carpini e faggi (refondàr),
la casera Bosch de la Fior. Alle Fontanèle era anche la prima
pàusa: chi saliva per la raccolta della legna, portava in spalla
la mussa (la slitta), sulla quale, al ritorno, venivano caricati i tronchi: il
suo peso poteva anche arrivare a una cinquantina di chili; ovvia la
necessità di riprender fiato con qualche sosta. Le fermate non avvenivano però a
caso, quando il "portatore" si sentiva stanco: c'erano dei precisi luoghi, le
pàuse appunto, in cui era tradizione -sempre rispettata- sostare. Poco
oltre, a sinistra, si staccava la "Strada Alta": il suo primo tratto ora non è transitabile neanche come sentiero, invaso da ramaglia e solcato dalle buche
scavate dall'acqua che è riuscita a scalzare qualche pietra dell'antico solido
selciato. Si continua sulla strada asfaltata fino al tornante: dopo la curva si prosegue
a destra, lasciando la strada per salire sulla vecchia mulattiera che è ancora
ottimamente conservata e utilizzata dai proprietari dei boschi circostanti. Il
bosco di carpini è più rigoglioso a destra, nel falsopiano che trent'anni fa era
un fertile prato con dei castagni secolari isolati, mentre a sinistra la vegetazione è
più stentata: qui finisce il ripido
costone (Le Boschéte), su cui
emergono qua e là i brulli strati di biancone. Il selciato della mulattiera è
ancora in buone condizioni: la pendenza è moderata, e anche nei periodi di forti
piogge non si hanno consistenti scorrimenti di acque superficiali. Il falsopiano
sulla destra finisce in una ripida e profonda scarpata che arriva in fondo al vallone in
cui corre il torrente Biotìs (qui si stacca il sentiero delle bòe descritto nella parte
finale di altra pagina); più a destra la vistosa
frana delle Bòe de Rubìn.
Pochi metri ancora, e siamo a "La Madonéta",
zona
così chiamata per la presenza di un grosso
masso di scaglia rossa, su cui svetta l'immagine di una Madonna. Sono
presenti altre pietre, alcune di scaglia rossa: il terreno è formato da depositi
morenici qui lasciati dal ghiacciaio proveniente dalla Val Cismòn; come noto,
nella zona di Moline (strada per Primiero: vedi la roccia su cui è costruito
l'edificio accanto al ponte) sono presenti spessi strati di scaglia rossa, da
cui probabilmente il ghiacciaio ha strappato questi macigni. Alla Madonéta
era stabilita la seconda pausa, importante e indispensabile perché
seguita da un tratto di strada assai faticoso in quanto molto ripido, el Tàoro;
la nuova strada non ha seguito il tracciato della mulattiera: si sviluppa su due
lunghi tornanti per poter superare l'impennata del Tàoro con pendenza
accettabile. Se la salita del Tàoro, slitta in spalla, era dura,
altrettanto faticosa e assai più rischiosa la discesa col carico di tronchi;
d'inverno la mulattiera si trasformava in una pista per bob, in cui tuttavia non
si doveva permettere alla slitta di acquistare velocità: per il peso eccessivo
del carico sarebbe sfuggita al controllo, si sarebbe capovolta o schiantata
uscendo dalla "pista"; si ricordano vari incidenti con fratture specie a
gambe e ginocchia dei "conduttori", che non erano riusciti a "buttarsi fuori" dalla slitta.
Per frenare la corsa e mantenere il controllo del "veicolo" nel ghiaccio
impedendone la perdita di controllo, il mezzo più efficace erano due catene da buttare sotto i "mussài"
(pattini) della slitta non appena questa "tentava la fuga" dopo aver vinto la
resistenza del pilota, fornito di speciali scarponi coi ciàlt, solidi
ramponi fissati alle estremità degli scarponi, per tenere nel ghiaccio.
Per un centinaio di metri oltre la Madonéta
la mulattiera è ancora buona, col
codolà (selciato) ancora intatto; la
pendenza va tuttavia aumentando, con tratti assai ripidi (sàlt). Si
arriva a un punto in cui la mulattiera non è più percorribile, perché ostruita
dai massi caduti durante l'apertura della camionabile; ci si sposta più a
destra, su traccia di sentiero nel giovane bosco che ha occupato un precedente
prato. Notare che poche decine di metri più a destra corre il bordo di una
profonda frana (frana della Val dei Còrn): necessita massima prudenza
(ragazzini inesperti, cercatori di funghi distratti potrebbero accorgersi troppo tardi del
pericolo). Si interseca un sentiero, lo si segua salendo a sinistra: pochi
metri e siamo di nuovo sulla strada asfaltata, che da questo punto è stata tracciata sul
percorso della mulattiera, salvo un altro tratto. La pendenza, inizialmente
accentuata, si attenua in corrispondenza di uno slargo utile all'incrocio dei
veicoli. Pochi metri più avanti, sulla costa, si stacca, a destra, una strada
che scende alle "Mόlfene", poco sopra
El Calierόn. L'argilla qui
presente portava in superficie, prima dell'apertura della camionabile, una
modesta risorgiva, le cui acque venivano raccolte in una pozza, la "Fòssa de
Firèl"; più in basso nel prato altri fossi con acqua. Rimane ancora,
sulla costa sotto la strada, l'impronta della Fossa, ormai prosciugata.
Dopo un nuovo breve aumento della pendenza, entro un bosco di castagni che nella
zona a monte della strada, "I Vané", han trovato il giusto habitat
salendo fino a 700 m, si arriva al punto in cui era fissata la
terza pàusa,
alla fine del Tàoro. Questa era sicuramente la più gradita e lunga delle
fermate, dopo un tratto tanto faticoso. Le slitte venivano posate sulle punte
dei mussài e appoggiate sulla scarpata a monte; di qui si godeva anche un
bel panorama su Rasai e la piana di Artén-Fonzaso, dal momento che il
Prà de Gnòlo, a valle della mulattiera, allora era del tutto privo di
vegetazione arborea e non c'erano ostacoli alla visuale. Durante questa sosta si
cercava di recuperare l'energia perduta ricorrendo a bevande dinamogene come
vin grinto e grintòn o, per i più raffinati, il cafè col vin
caldo e dolce centellinato dal "thermos". Terminata la più necessaria
tra tutte le pàuse, il cammino riprendeva e si raggiungeva la "Costa",
con alcuni brevi tratti addirittura pianeggianti. Oggi la strada non presenta le
variazioni di pendenza dell'antica mulattiera, e alla Costa sale
lievemente e con costanza entro un giovane bosco di carpino nero, dopo aver lasciato, a
sinistra, una strada che sale verso est fino al confine coi boschi di Tomo, per
tornare poi a congiungersi, alla
Caseròta, con la via che percorriamo;
prima di 50 anni fa alla Costa, a monte, un grande ripido prato veniva
regolarmente falciato, ed il fieno sistemato in méde o barch per essere
trasportato in paese nell'inverno. Due brevi tratti di strada pianeggiante permettevano di
riprendere fiato, ma al ritorno, col pesante carico
da trascinare, diventavano un supplizio. I conduttori delle slitte erano
costretti a "ònder i mussài" per renderne meno faticoso il traino:
sui pattini, dopo aver sollevato la slitta su un fianco, veniva spalmata la
"sonda", grasso di maiale che li rendeva scivolosi riducendo così l'attrito e
di conseguenza la fatica; dimenticare di portare con sè la sonda
significava dover dimezzare il carico. Dopo la Costa si entra in
ambiente più rupestre, e ai carpini si mescolano pini silvestri che rilasciano
un buon profumo di resina; a sinistra si stacca altra recente (2011) strada, sul
percorso seguito un tempo dalle vacche che salivano all'alpeggio nei Pra de Tomàdech
ed evitavano il primo durissimo settore della Strada Alta; si prosegue su breve tratto pianeggiante, e si gira in un
vallone, sovrastato da ripide rocce: la Val de Pόnt. Questo
vallone, in occasione di piogge torrenziali, scarica una notevole quantità
d'acqua e detriti, pur non arrivando il relativo bacino nemmeno a 1200 metri di
quota; tuttavia nella sua parte alta (Giàff e Prà de Puìna) riceve
il contributo di sorgenti che dopo piogge copiose rilasciano molta acqua (quella
di Prà de Puìna è una delle poche che non asciugano nemmeno dopo lunghi
periodi di siccità). Dopo il vallone si risale con lieve pendenza un versante
con cespugli, piccoli pini e genziane d'un bell'azzurro-cupo, a maggio, e si
sbuca su tratto pianeggiante; a valle prato curato con tipica
casetta alpina in
pietra, edificata sulle rovine di antica casera: fatta sistemare da Aldo,
che qui a 800 m cercava un po' d'aria pura, rimedio alla silicosi presa in tanti
anni di scavi nelle gallerie porfiriche del Trentino. Siamo in "Piàn de
Perèr", sede della quarta pàusa. Il lungo tratto
pianeggiante rendeva anche il Piàn de Perèr luogo di grandi fatiche per chi
trascinava le slitte cariche, al ritorno in paese. La pendenza cresce
gradualmente dopo la vallecola che segue il Piàn; si passa il costone e si gira su
altra piccola valle che, come quella del Piàn, è solcata da slavine, in
caso di nevicate abbondanti e condizioni favorevoli al fenomeno. Si passa oltre
un costone con
consistente tagliata nella roccia, poi un tratto assai ripido con un tornantino. Siamo sul fianco franoso della "Val del Fén",
che si diparte dal versante Nord-Ovest della cima a piramide del Tomatico; si
intravede, in basso, una profonda erosione che mina l'altro fianco della valle.
Sulla sinistra un sentiero, un tempo mulattiera per slitte, si alza e punta
sulla Val del Fén che interseca a monte di un salto; questa deviazione
era la "Fenadòra", la via del fieno -prodotto nei Pra de Tomàdech- che , legato nei "fàss"
(a forma di cubo, peso circa 100 kg ciascuno, tenuti assieme da una coppia di funi),
veniva fatto scivolare sulla valle cui diede il nome; sulla "Fenadòra"
veniva poi caricato nelle slitte e portato in paese. La Val del Fén
scarica le valanghe di neve più imponenti: nella parte più elevata, da
cima
Tomatico verso ovest fino a Stabìr, e sul costone dei
Nini, una zona piuttosto ampia è
del tutto priva di vegetazione e assai ripida: spesso tutta la neve che vi cade
precipita poi nella slavina della Val del Fhén che, in caso di nevicate
eccezionali, arriva fino al Calieròn. La storia del paese ricorda la
tragedia che si verificò il 22 febbraio del 1836, quando una ventina di persone,
salendo al Tomatico per trasportare a valle il fieno, furono coinvolte in una di
queste grandi valanghe: sei persero la vita, e uno dei corpi fu
recuperato solo il 24 giugno. Nell'immagine sopra, tronchi e detriti lasciati da
una valanga (28 gennaio 2006) sul tratto di strada che precede la Val del Fhén; ne possiamo
immaginare l'enorme dimensione, se teniamo conto che il vallone è oltre 100
metri al di sotto. Passata la valle, che anche dopo intense piogge non porta
grosse quantità d'acqua, per la permeabilità dei terreni ricchi di ghiaia e
brecciame attraversati, si entra in un bosco di faggi, da cui si esce
superando il costone che divide la Val del Fhén dalla "Val de Roàss".
Anche qui, ai tempi dei trasporti a mezzo slitta, al ritorno c'era da soffrire
su un tratto di strada pianeggiante, el piàn de Cùcc:
si doveva metter mano alla sonda e ònder i mussài. Per chi
risaliva, invece, era l'ora della quinta pàusa alla fine del
piàn de Cùcc, nei
pressi della Fornàss de Toni Cùcc. Nella
fornace
Toni Cucc cuoceva le pietre di calcare presenti in grandi quantità, tanto da formare dei
macereti nei pressi della Val de Roàss; derivano dalla disgregazione del
Pagnòc, gruppo di rupi emergenti dal crinale tra Val del Fhén e
Val de Roàss. La calce veniva trasportata in paese con la slitta. Dietro
i resti della Fhornàss un sentiero porta a un casòn restaurato,
mentre a destra si staccava la vecchia mulattiera (più antica del tratto
"normale" della "Strada Bassa") che, superati i casoni di PraFhesìl
e la Val del Pìn (detta pure Val de la Maria Pìta) arrivava
sopra il "Saltedèl",
salto roccioso sulla Val de Fherbotàna. Questo percorso fu abbandonato soprattutto perché presentava
un lungo tratto in contropendenza, in cui le slitte cariche di legna non potevano
essere trainate. Lasciato il luogo dell'antica Fornàss, proseguiamo sulla
strada pianeggiante e dopo un centinaio di metri notiamo sopra la scarpata
la
vecchia mulattiera, ormai abbandonata e non percorribile neanche a piedi, in
quanto invasa da cespugli e detriti, e tagliata dalla nuova strada, di cui
sarebbe stata assai più breve; è separata dalla camionabile fino alla fine del bosco di faggi di PraFesìl,
oltre la Val de Roàss,.
L'iniziale progetto di questo tratto prevedeva il passaggio accanto alle
casere di PraFhesìl
e la continuazione sulla vecchia mulattiera fin oltre la Val del Pìn, per
portarsi poi sull'attuale percorso con un lungo tornante: così avrebbe
"valorizzato" l'ampia estensione di boschi situati più in basso, anche
oltre
la Val del Pìn; ci fu tuttavia il veto di un
responsabile forestale, che impose la realizzazione di ben quattro tornanti sopra PraFhesìl,
in una fascia di bel bosco di faggio in unica proprietà: molti, e non solo i maliziosi,
pensano che quel
funzionario cercasse il diniego del proprietario, per provocare il fallimento del
progetto, che invece non fu bloccato.
Si continua dunque verso la Val de Roàss, attraversata la quale si
affrontano i quattro tornanti, necessari a recuperare la quota persa rispetto
alla mulattiera, che viene incrociata poco prima dell'ultimo tornante;
dopo un lungo tratto in lieve salita, si esce dal bosco in prossimità di un
cambio di versante, pochi metri a monte del luogo in cui era posta la sesta e penultima
pàusa. Notevole la vista su Rasai e piana di Fonzaso; oltre, verso Nord
Ovest, i monti del Tesino e il Coppolo a sinistra dell'Avena; comincia a
spuntare Cima D'Asta. Da questo punto la pendenza della
via, tornata a coincidere con la vecchia mulattiera, va gradualmente ma con
costanza aumentando, raggiungendo in alcuni punti valori vicini al 25%. Questa
strada è amata e temuta dagli appassionati delle arrampicate in
mountain bike,
per le sue peculiarità, in particolare per la pendenza media notevole; si
trovano, in vari siti e blog, descrizioni della salita complete di studi e annotazioni
tecniche. Alla fine di lungo ripido rettilineo, si percorre la breve ansa della
Val del Pìn, dopo la quale altra impennata, che si attenua
leggermente in corrispondenza del Cròt del Pìn, uno
spuntone di
roccia posto a valle; qui era fissato il luogo dell'ultima pàusa; a
distanza non rilevante dalla precedente, ma dopo il superamento di un dislivello forte e soprattutto
quasi alla fine del percorso, quando la fatica si fa sentire più
intensamente. Dopo la zona di questa pàusa si sale con pendenza costante;
il pendìo assai ripido ha imposto l'asportazione, a monte, di grandi quantità di
roccia, soprattutto nei cambi di versante, con la formazione di imponenti
scarpate pressoché verticali: prudenza vuole che chi cammina si tenga verso il
centro della strada, per non essere colpito da detriti o pietre che, soprattutto
all'epoca del disgelo, possono precipitare dalle pareti. Poche centinaia di
metri, e si arriva alla Val de
Fherbotàna, in cui confluiscono le valli con i boschi più
produttivi; venivano fatti scendere lungo i valloni le tàje,
tronchi interi privati dei rami, poi fatte a pezzi per poter caricare la legna
sulle slitte.
Qui finiva l'antica Strada Bassa.
Finivano anche le fatiche della salita co la mussa sule spàle, ma
rimanevano da affrontare subito altri gravosi impegni: raggiungere il bosco, tagliare gli alberi,
molàr le tàje do par la val,
trascinare o portare i tronchi alla slitta e caricarli. E poi finalmente giù, per
l'ultima fatica più intensa e ricca di rischio: "parché la mussa, o che la coréa
massa, o che no la coréa gnìnt!" Una volta arrivati giù in
paese, nel punto d'inizio della Strada Bassa, la slitta col suo carico
veniva posta su un carrettino a due ruote con cerchio di ferro per battistrada,
per poter percorrere l'ultimo tratto, in alcuni casi in lieve salita, fino a
casa.