SULLA MONTAGNA
Toponimi della parte "di montagna" del paese. Si è pensato di
presentarli non in ordine alfabetico, ma secondo un altro criterio, cioè
nell'ordine con cui si incontravano le località risalendo la Strada Bàssa
e la Strada Alta, quando queste avevano l'antica forma di mulattiera:
vedere la mappa con i punti associati alle località.
Naturalmente non ci siamo fermati dove
finiva la
Strada Bàssa, ma siamo saliti fino in in Colàlt , sullo
spartiacque. I luoghi più vicini al paese, attraversati dalle
Strade de montagna, sono stati già descritti in altra pagina.
Come per i nomi dei luoghi alla periferia del paese,
Valentina spiega le
caratteristiche per i toponimi individuati.
Lungo la Strada Bassa e zone da essa accessibili
1) Le Boschéte. A monte della vecchia mulattiera, ove essa è
ancora intatta. Bosco "stentato", in prevalenza di carpino nero, su terreno poco profondo e strati di biancone
affioranti.
... ... ...
2) La Madonéta. Grosso
masso di scaglia rossa, recante in cima
un'immagine della Madonna. Si trova a fianco della mulattiera, ed è stato spinto
fin qua dal ghiacciaio della Val Cismon: nella zona di Moline, e più in alto
verso Sovramonte, sono presenti spessi strati di questo tipo di roccia.
... ... ...
2b) El Tàoro. Tratto di mulattiera assai ripido e piuttosto lungo (circa
400m). Vera sofferenza per chi
saliva al monte per
legna, con la slitta sulle spalle.
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3) Val dei Còrn. In cima al Tàoro uno strato d'argilla porta
in superficie l'acqua, soprattutto dopo piogge copiose; e quest'acqua si
raccoglie nella Val dei Còrn, alimentata anche dai detriti di una grande
frana:
il tutto finisce nel Biotìs un centinaio di metri a monte dell'ultima briglia
sul torrente.
Forse da corn/corno o corona: nel senso di sporgenza della roccia.
4) I Vané. Un tempo prato -non ampio ma ben sviluppato in
lunghezza- a monte della strada sull'ultimo tratto del Tàoro; il prato arrivava
praticamente fino alla Strada Alta.
Caratteristica particolare: il posto delle fate.
Nome forse derivato da appellativi comuni, attraverso metafore, specie oggetti
di uso comune nella vita tradizionale dei montanari.
5) Pra de Gnòlo. Prato con casera (ora in rovina) a valle
della strada
Antropotoponimo: allude al proprietario o a chi fa uso di un prato, appezzamento
di terreno.
6) La Còsta. Dopo l'ultimo strappo del Tàoro la strada
diviene meno ripida, poi quasi pianeggiante: a monte della strada i prati,
allora normalmente falciati, arrivavano fino al successivo costone: c'era fieno per due belle
mede. Fino a una trentina d'anni fa il prato, oggi sostituito da un fitto
bosco di carpino, si spingeva in alto fino a una rupe verticale: in questa zona
è stato determinato l'epicentro della scossa più intensa (magnitudo 5,25) del terremoto che nel luglio del 1943
interessò i
nostri paesi. Nell'archivio dei terremoti italiani al sisma -vedi
immagine- viene associata la località Valdobbiadene, ma latitudine e longitudine
individuano questo punto che dista da Porcen, in linea d'aria, poco più di 1km. Donato ha fornito delle informazioni
interessanti sull'evento. Si trovava sui Giàff (poco sopra l'epicentro
della vibrazione più violenta) al momento della prima forte scossa (23 luglio
mattina): uscito dalla casera sentiva i Bìn (della famiglia Corso di
Rasai) che dalla loro
casèra, più in
basso oltre il
Biotìs, gridavano ai vicini: "senti senti via da quel'altra banda che rumόr":
erano i macigni che, smossi dal sisma, precipitavano lungo i valloni, nell'altro
versante, quello di Porcen, sul fianco destro del torrente. Per
fortuna, data anche l'ora, nessuno dei paesani, che in quel periodo frequentavano
numerosi la
montagna per la raccolta del fieno, era al lavoro: stavano ancora nelle casere, costruite
tutte in costa per garantirne una maggior sicurezza. Nel paese buona parte
delle tegole e molti comignoli precipitarono dai tetti, e anche qualche muro portante rovinò (ad
esempio quello della casa adiacente l'abitazione di Donato). "Una
commissione, guidata dal Podestà Toni Bassani", riferisce sempre Donato, "passò
per decidere gli interventi nei casi più gravi, nonostante i tempi estremamente
difficili per l'Italia in quei momenti". Jijéto Munèr Cristi, allora ragazzo
dodicenne, era in malga sui Pra de Tomàdech; racconta che crollò la
casèra dei Boèmia (famiglia Villabruna di Tomo), a Est poco sotto la Fhìma, proprio mentre facevano il
formaggio: "Se à anca schifhà la caliéra, e ghe à tocà gnér do da noi in prést"
(Rimase pure schiacciata la caldaia, e dovettero venire da noi a chiederla a
prestito); rovinò anche la casera di Gildo, in Colàlt.
Geotoponimo: riprende le caratteristiche e le
forme del terreno.
Si tratta di un caso particolare, dato che il toponimo avrebbe dato origine al
cognome Costa.
7) Val de Pont.
Roccioso e ripidissimo boràl; per
superarlo senza rischio anche con le slitte, a valle venivano posti dei tronchi,
anche per impedire che l'acqua abbondante del vallone asportasse la strada ad
ogni temporale; di qui il nome.
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8) Pian de perèr. Prato relativamente pianeggiante a valle
della strada. Doveva esserci un albero di pere, ma io ricordo solo i susinèr che
crescevano sulle rovine della casera; su queste è stata costruita, una trentina
d'anni fa circa, una graziosa "casa di montagna" in pietra.
Fitotoponimo: nome che deriva dalle piante; in questo caso ‘perer’.
9) Val dele Pile. Ripido roccioso valloncello.
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10) Le Mόlfene. Prati e
casoni (alcuni restaurati) più in basso: si può scendervi direttamente lungo il costone
sinistro della Val dele Pile; ora esiste una strada camionabile che vi
arriva e si stacca dalla principale in Pra de Gnòlo.
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11) Le Pile. Oltre la Val dele Pile, a monte della strada:
prato e bosco assai ripido, con rocce affioranti.
Geotoponimo:nome che descrive le caratteristiche geografiche del terreno,
traslate da voci comuni del lessico [Marcato 2009].
12) El Calierόn. Zona di convergenza dei
valloni che scendono
dall'arco M.Tomatico-M.Sassumà: caotica e di non facile accesso, profonda
rispetto alle zone circostanti per le consistenti erosioni, nei periodi di piena
rimbomba per il rumoreggiare delle acque, dando così l'impressione di un
pentolone in ebollizione.
Geotoponimo:nome
che descrive le caratteristiche del terreno,geografiche traslate da voci comuni
del lessico. Si tratta di un termine che in linguistica viene definito
‘trasparente’.
13) La Fhenaόra. Mulattiera
(ora invasa dai cespugli), si staccava a monte della via normale poco
prima della Val del Fhén,
congiunge questa alla Strada Bassa evitando il lungo salto che sovrasta
l'intersezione della stessa valle con la strada. Il fieno raccolto nel versante
Sud, dal Tomatico alle Jarìne, veniva fatto scendere lungo la valle innevata e
poi sulla Fhenaόra: sull'incrocio tra questa e la Strada Bassa
avveniva il trasbordo dei fàss de fhén sulle slitte, per proseguire
fino al paese.
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14) Val del Fhén. Il vallone col
bacino più ampio
tra quelli che confluiscono nel Calierόn a formare il
Biotìs. Un suo ramo scende dalla
cima del Tomatico, ove la vegetazione è
assente; si formano quindi imponenti valanghe in occasione di nevicate
consistenti. Solo piogge eccezionali vedono ruscellare acqua nel tratto a monte
della Strada Bassa: la valle è percorsa da una faglia che ha provocato la
formazione di grandi quantità di brecciame (jarìne) risultante dalla
disgregazione del biancone, roccia prevalente nella parte alta del monte. Nella
valle innevata veniva fatto scendere il fieno, prodotto anche nelle praterie del
versante sud, con fhass legati l'uno all'altro a formare un "trenino"; sulla Fhenaόra
veniva poi caricato sulle slitte. Di qui il nome della valle.
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15) Piàn de Cuc. Tratto
pianeggiante sul costone che separa dalla
Val de Roàss, dove sorgeva la fhornàss in cui si cuocevano le
pietre di calcare che "spente" davano la calce.
Zootoponimo:
deriva da cuculo.
16) Prafhesìl. Un sentiero (antico tracciato della Strada Bassa)
scendeva dalla fhornàss de Cuc e poco oltre la Val de Roàss passava
accanto a casόn e casèra di
Prafhesìl. Lorenzo, mio nonno, vi trascorreva
due mesi d'estate con le mucche, dopo essere passato dal Bosch de la Fhior,
poco sopra Porcen, dove le vacche consumavano parte del fieno prodotto l'anno
precedente (il resto veniva consumato al ritorno da Prafhesìl,
in autunno). In questo modo, spostando gli animali, si evitavano le fatiche
relative a trasporto di fieno e letame; occorreva però che qualcuno risiedesse
con gli animali per accudirli. Ecco allora che le famiglie numerose riuscivano a
gestire queste attività, distribuendo i componenti sui vari "fronti" di lavoro.
In Prafhesìl le ragazze (la più giovane era
mia madre) provvedevano alla cura
del bestiame, percorrevano sentieri impervi per raccogliere un po' d'erba
tagliata con la messόra, andavano a prendere dell'acqua nella valle sopra 'l
sàlt de 'Atila. Il padre e i figli maschi tagliavano il fieno e lo portavano,
una volta secco, nel fienile.
Zootoponimo: animali presenti nella zona. Potrebbe essere definito un termine
trasparente come Calierόn.
Prafhesìl> prato delle rondini.
17) Val de Roàss. Vallone che scende dalla cima a Ovest del
M.Tomatico.
Fitotoponimo:
deriva dalle piante presenti nella zona roe, rovi.
18) Cròt del Pin e Val del Pin. Spuntone di
roccia (cròt) a
valle della strada; pochi metri prima si attraversa l'omonima profonda
vallecola, da alcuni chiamata anche Val de la Maria Pìta. >
Antropotoponimo > deriva dal nome o soprannome del proprietario del territorio.
‘Pin’ nome del bisnonno di Stefano.
19) Saltedèl. Un dirupo con salto nella Val de
Fherbotàna (Saltedèl=piccolo salto) ha dato il nome a tutta la zona
circostante. L'ultima tratto della vecchia Strada Bassa
terminava sopra questo salto.
Geotoponimo> termine che descrive il terreno circostante. E’ un termine locale.
20) Val dela Caseròta. La vecchia Strada Bassa
finiva nel punto in cui essa intersecava la grande Val de Fherbotàna;
Questa risulta dalla confluenza di più valloni, uno dei quali (il più
occidentale) anche in alto ha lo stesso nome (oltre che quello di Val Fhinàl).
La Val dela Caseròta confluisce (da sinistra) nella Val de Fherbotàna
immediatamente a monte del punto in cui la strada (ora camionabile) la attraversa e prende il nome da una località in cui passa. Prima
della costruzione della nuova strada, per raggiungere varie zone si percorrevano
sentieri che si dipartivano da questo punto; il più importante di essi portava
in Fherbotàna e poi oltre, fino in Colàlt; di qui, continuando a
est, si poteva arrivare al Tomàtico. Questa valle, pur con un bacino meno ampio
rispetto alla Val Bèla e alla Val Fhinàl, è molto più ricca
d'acqua in occasione di piogge intense.
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21) La Caseròta. Fino a una decina d'anni fa reggeva ancora, anche
se ormai cadente, la pendàna (casόn) a sfojaròi;
accanto una casèra con mura e copertura in pietra. Attorno un prato non
molto esteso: la struttura veniva impiegata per il pre e postalpeggio
dal proprietario Giacomo "Zampasqua", che aveva una piccola malga sulle pendici
del Col dei Cόnt nei Pra de Tomàdech. La parola
"Caseròta" sembra essere un diminutivo/vezzeggiativo di casèra. La strada presenta
qui uno slargo (un moderno Cargadόr per camion) e una biforcazione:
continuando dritti si va in Ferbotàna e poi verso il Tomàtico; girando a
sinistra si percorre una strada priva di forti pendenze, non asfaltata, che
serve la parte orientale della montagna porcenese, e si ricollega alla via
principale in cima al Tàoro.
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22) La Salina. A Est della Caseròta, sul medesimo livello,
c'era un altro prato con casèra, caratterizzato da un nome che stimola la
curiosità.
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23) Fherbotàna. Bel prato con una interessante
ampia casèra, a meno
di 1 km dalla Caseròta; una strada si stacca a valle della via
principale, e porta nei pressi della casèra. Davanti a questa maestosi frassini
e ciliegi. Prima dell'apertura della camionabile il sentiero che risaliva i
fianchi dei valloni passava vicino alla sorgente perenne più nota della montagna
porcenese, "la vena de Fherbotàna", duecento metri circa
a valle dell'edificio. L'acqua, raccolta in una canaletta, cadeva poi in una
piccola "fossa" popolata da girini, tritoni, salamandre, rane, bisce
d'acqua. Gli anziani raccomandavano ai ragazzini di non bere avidamente, nelle
calde giornate estive, l'acqua di questa vena perché molto fredda; e di bagnarsi
a lungo polsi braccia fronte in modo da preparare il corpo alla ...freddura.
Nelle rigide giornate invernali l'acqua della fonte sembrava invece stranamente
tiepida. Si tratta di una vena fonda (che esce da notevole profondità) con una temperatura propria quasi
costante, poco sensibile alla temperatura dell'ambiente esterno. La copertura della lunga
casèra era stata progettata e realizzata dal proprietario Bèpi Jùsche,
esperto carpentiere ma soprattutto scultore del legno, un autentico artista
anche nel comportamento. Bèpi non voleva assolutamente " firmare" le sue
opere, insisteva per non ricevere denaro dalle persone cui le donava. In Fherbotàna
accadde il simpatico episodio qui raccontato.
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24) Val dei Péfh. Vallone nel cui bacino ampie zone sono coperte da
foreste di péf (peccio o abete rosso). Termina sulla dorsale tra casera
Gàvit e Colàlt. La strada interseca il vallone proprio sotto un
salto verticale di 5/6 metri.
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25) Val Bèla. Vallone che nella parte più alta si allarga, privo di
salti e asperità. Arriva al M. Santo (m.1538), la seconda cima per altezza
nell'arco Tomatico-Sassumà, e la più a Sud .
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26) Val de Fherbotàna. Valle a oriente del prato e della casera
omonima, detta anche Val Fhinàl.
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27) Casèra Colàlt. Restano ormai pochi avanzi delle rovine della
casera, che si trovava immediatamente a nord dello spartiacque, su un
tozzo
rilievo a oriente del M. Santo. La casera fu distrutta dal terremoto del luglio
1943.
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28) Còl de Gaio. (m.1418).
Rilievo
appena accennato, proprio nel punto in cui ci si aspetta il punto più basso del
crinale, sulla testata della Val Sassumà (a Sud) e della
Val de Garé (Nord). Sul
crinale, a Ovest della collinetta, inizia la lunga lieve salita che conduce a
quota 1510 sulla cima di M. Sassumà (video che descrive la salita al
Monte Sassumà su YouTube: https://youtu.be/CsvSoWXR2cY).
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29) El Pagnòc. Dal costone tra le valli del Fhén e
de
Roàss emerge, a quota 1130m, un gruppo di
rupi
che richiama l'idea di un enorme castello diroccato. Le pietre risultanti dallo
sgretolamento finiscono nella Val de Roàss, e un tempo venivano raccolte da Toni
Cùcc e cotte nella fornace.
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Lungo la Strada
Alta e
zone da essa accessibili
(La "Strada Alta" coincideva con il tratto iniziale dell'Alta via
degli eroi da Porcen al Cargadόr-Tomatico)
1) Tèla. Ultimo rilievo nel contrafforte che dal
Tomatico scende verso Nord Ovest, confine tra il bacino del Rich e quello più
esteso del Biotìs. Un tempo la sommità, in lievissima pendenza, era coperta di
prati.
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2) Pra dela Vàrda. In posizione panoramica, sul filo dello
spartiacque, permette di ammirare il paesaggio da Sud a Ovest e a Nord. Vàrda
da vardàr=guardare, per la bella vista che si ha da questa posizione.
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3) Sant'Antòni. Su un tornante della ripida mulattiera, coperta e protetta
dal codolà, una estesa pietra piatta recava al centro un disegno, nel
quale era stata riconosciuta l'impronta lasciata dall'asinello di S. Antonio,
che sarebbe passato di là nel viaggio di ritorno in Portogallo.
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4) I Soldèr. Dopo un lungo tratto molto ripido (inizia poco oltre
Tèla) sopra I Vané, la mulattiera diventa un po' meno ripida, ed entra in un versante con vista più chiusa sul vallone del Biotìs, tagliando una costa, un tempo prativa, molto ripida. Là dove la via attraversa l'impluvio successivo ai Soldèr, tracce di acqua che un tempo alimentavano una minuscola fossa. L'acqua quasi mai era limpida: uccelli e altri animaletti frequentavano la pozza, le cui acque diventavano tόrbide. Si trattava (assieme alla vicina fossa de Pra de Puìna dalla quale l'acqua arrivava) dell'unica presenza del prezioso liquido in un ampio raggio. Il luogo era noto come Al Fontanèl.
13) Stabìr. Prato ancor oggi evidentissimo sul crinale a ovest della
Fhìma, per chi osserva dalla piana
Rasài-Fonzaso ha forma rettangolare, e si spinge in basso, a Nord,
incuneandosi tra i fitti boschi di faggio. Nella parte inferiore la casera
che fu di Carléto Zacarìa
(perse la vita per un malore sul sentiero che congiunge la Salìna
a
Stabìr, mentre vi si recava) più in
alto la malga -pendàna
a
sfojaròi
e casera- dei Costesèle, utilizzata ancora alla fine degli anni '50 da Isèo,
col cafharòl
Achille. Un maestoso faggio, a quasi 1500m, ombreggiava gli edifici. Anche
dalla piana si nota il segno lasciato dall'apertura della camionabile, una
traccia chiara perché la roccia di cui è costituita la parte sommitale della
catena Tomatico-Grappa è il candido "biancone" o maiolica.
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14) Dai Tòn. Piccola malga una decina di metri sotto il crinale, a
Nord, tra
Stabìr e la
Fhìma, (l'ultimo a condurre
l'alpeggio fu Nani Scàja
dei Tòn,
col cafharòl
Ildo), è stata recentemente recuperata e ristrutturata, ricavando una tipica
costruzione di montagna che valorizza tutta la zona del Tomatico.
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15) El Cargadόr. Là dove la
Strada Alta
finisce sullo spartiacque, una decina di metri dopo l'ultimo tornantino,
e l'orizzonte si apre alla vista verso sud: con atmosfera limpida
(evento assai raro, purtroppo) si ammira Venezia distinguendo chiaramente il
Canal Grande. Il nome deriva dal fatto che il fieno prodotto nel versante
Sud, i Pra de Tomàdech, portato su a spalla nei fhàss,
qui veniva caricato sulle slitte per il trasporto in paese.
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15b) La Fhìma, La Crόss. La
Cima, naturalmente quella del Tomatico, per i
porcenesi la cima per antonomasia, a 1595 m. Se sali sulla croce a traliccio
vai oltre i 1600! Per dire "vado sul Tomatico" in alternativa si diceva "vàe
su sula Hìma", oppure "vàe
su ala Crόss".
Dal Tomatico impressionante vista sulla sottostante cittadina
Feltre, e vasta panoramica sulle Dolomiti.
Con atmosfera nitida, a sud, vista sul percorso del Piave fino alla foce; ben
evidente anche Venezia col Canal Grande.
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16) I Ròdoi. Sul versante Sud opposto a
Stabìr,
i prati scendono piuttosto ripidi verso Pradalόn:
fino agli anni '50 quelli che non appartenevano alle malghe venivano
sfalciati ed il fieno sistemato in méde, per essere poi portato a
spalla al
Cargadόr e di
qui con la slitta al paese. I ròdoi sono
rotoli, naturalmente di fieno; nei terreni molto ripidi, quando si
raccoglieva il fieno secco in cima al prato, se ne avvolgeva un po' in un piccolo rotolo, quindi lo si
spingeva giù a mano o col rastrello: il rotolo avvolgeva altro fieno, e
rapidamente raggiungeva dimensioni notevoli; non doveva però sfuggire al
controllo, a meno che il prato ripido non avesse in fondo una zona
pianeggiante: in questo caso il ròdol si arrestava da solo,
altrimenti sarebbe sfuggito finendo nei valloni o nel bosco! Questo
divertente modo di risparmiare un po' di fatica ha probabilmente dato il
nome ai prati della zona.
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17) Le Jarìne. Più a occidente dei
Pra de Tomadech
e dei
Ròdoi
il versante sud diviene più ripido, in certi tratti roccioso e coperto dai
detriti delle rocce che si sbriciolano. Nonostante queste asperità, la "fame
di foraggio" spingeva la gente che arrivava anche dal versante Nord
(Porcen e Rasai) a tagliare i ciuffi d'erba col falcetto;
l'erba veniva poi raccolta in contenitori di tela e portata a seccare nelle
parti meno ripide. E' questa la zona chiamata
Jarìne
da jàra
(ghiaia), i detriti risultanti dal facile sbrecciamento del biancone, la
roccia tipica della zona sommitale della catena Tomatico-Grappa. Le
Jarìne
erano frequentate anche dai cercatori di
chiocciole, quando il tempo si metteva a pioggia e impediva il duro
lavoro della fienagione: attività complementare, la raccolta delle
chiocciole, che permetteva dei pasti
gustosi e sostanziosi (polenta e s'cioss).
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18) Da Gàvit. Le
Jarìne
stanno a Sud della parte centrale dell'arco
Tomatico-Sassumà: qui la parte sommitale è sopra i 1500 m. per un buon tratto (1
km), con la cima del M. Santo (1538) a Ovest e ad oriente
una cima (1535) da cui
scende a Sud il contrafforte del M. Pàoda; a Nord di questa cima, a poche decine
di metri dallo
spartiacque, un tempo c'era casèra Gàvit, di cui ora rimangono solo macerie
difficilmente riconoscibili perché ricoperte dalle piante dei lamponi e altri
arbusti infestanti. Il sentiero che collega la zona del
Cargadόr
con le casère a Ovest (Bellavér,
Gàvit,
Colàlt
e poi giù fino in
Fherbotàna),
nel settembre
1944
vide il passaggio di tedeschi e repubblichini impegnati nel rastrellamento
dell'intero massiccio del Grappa. Avevano rapito un giovane, Càmo Gàvit, e lo costrinsero a guidare le truppe sui sentieri che portavano anche alla casèra
della sua famiglia. Le persone usate in tal modo venivano eliminate prima della
conclusione delle missioni, ma Càmo riuscì a fuggire. Un militare del gruppo,
si dice del Trentino, informò il giovane della sua sorte e lo invitò a fuggire.
Càmo, dal fondo della fila si buttò a valle sulla profonda scarpata, e si salvò
grazie all'intervento (forse volutamente) ritardato del militare e alla perfetta
conoscenza del territorio (Fonte:
vox populi).