VALUTAZIONE DELLE PROVE SCRITTE E ORALI
Le incomprensioni tra docenti ed allievi -tanto più forti
quanto più elevato è il grado dell'istituzione scolastica- nascono spesso nel
momento della valutazione, sia per le prove scritte che per le "performances"
orali degli studenti. Esiste anche una legge dello stato, che prende il
nome di "STATUTO DELLE STUDENTESSE E DEGLI STUDENTI DELLA SCUOLA SECONDARIA"
che offre indicazioni di principio al riguardo: mi risulta che attualmente ancor
più che qualche anno fa sia ignorata dalle due controparti, studenti e
professori. Nello "STATUTO..." si fa riferimento alla condivisione dei criteri
con cui i voti sono assegnati; in poche parole il docente spiega come assegna il
voto negli elaborati scritti e nelle "interrogazioni", sente le eventuali
osservazioni degli allievi e ne tiene conto in modo da arrivare ad un metodo
accettato da entrambe le parti. Quando a inizio anno scolastico si raggiunge un
accordo di questa natura, si può dire che si è fatto un consistente passo avanti
nell'eliminazione di contrasti e contestazioni nei riguardi
dell'insegnante, che altrimenti si hanno, qualche volta "allo scoperto", ma che
più spesso covano producendo anche dure lotte nella classe e sua frammentazione in gruppetti antagonisti. Lo "STATUTO..." parla
esplicitamente di "...dialogo costruttivo...sulle scelte in tema ...di
criteri di valutazione" e afferma: "Lo studente ha inoltre diritto a una
valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di
autovalutazione che lo conduca ad individuare i propri punti di forza e di
debolezza e a migliorare il proprio rendimento". I principi sanciti sono
sacrosanti, la loro attuazione lascia a desiderare: talvolta gli studenti non
sono nemmeno informati dell'esistenza dello "STATUTO...".
Sul piano pratico la valutazione di un elaborato porta a risultati (voti)
diversi, se a dare il voto sono insegnanti diversi: questo avviene non solo
nelle discipline "artistiche" (es. una composizione di italiano) ma anche in
quelle scientifiche (es. un "compito" di matematica). Il "voto" (in
Italia (scuola media) numero compreso
tra minimo=1 e massimo=10) è dunque funzione non solo di quanto è stato prodotto
dall'autore dell'elaborato, ma dipende anche dall'insegnante che ha effettuato
la correzione. Di qui l'importanza della trasparenza dei criteri con cui il voto
viene assegnato, in modo che l'allievo ne possa tenere conto essendone
informato. Ci si può chiedere perché mai, in particolare in matematica, i voti
possano variare, al cambiare del professore, per lo stesso compito. Per chiarire
con un esempio, spiego come ho proceduto, in tanti anni, con la correzione di
migliaia di elaborati.
In un compito di matematica normalmente assegnavo vari esercizi; per ciascuno
procedevo alla correzione, tenendo conto della "gravità" degli eventuali errori;
errori che possono essere causati da una totale non comprensione dell'argomento,
o -al contrario- da una banale distrazione, associata ad una perfetta conoscenza
degli argomenti correlati. E' ovvio che si può valutare in modo anche assai
diverso le due situazioni, in dipendenza dei fini che ci si propone di
raggiungere mediante l'insegnamento della disciplina stessa. In una
situazione di questo tipo io assegnavo punteggi ben diversi nei due casi. Altri
insegnanti non fanno differenza per le due situazioni prospettate (tra l'altro
riducendo fortemente i tempi dedicati alla correzione). Situazioni varie si
possono poi presentare riguardo alla completezza di un esercizio: può essere
completo, quasi completo, sviluppato in parte, appena iniziato: ogni insegnante
valuta dette situazioni in modo soggettivo! Altro fattore fondamentale: il
numero di esercizi assegnati. Mi sono proposto di includere in ogni compito un
insieme di esercizi tale da potere essere svolto nel tempo assegnato, senza
particolari affanni e corse contro il tempo da parte degli allievi. I tentativi di bloccare gli
"scambi di informazioni" tra allievi (eufemismo per "copiare") sono spesso
causa di interventi errati da parte dei docenti; uno di questi, tra i più
deleteri, è l'assegnazione di una quantità di esercizi tale da non poter essere
svolta nel tempo assegnato: così, pensa qualche collega, non c'è il tempo per
copiare. Invece non solo c'è chi riesce a copiare, ma si crea uno stato di
tensione e quindi di stress notevole, non si mettono gli allievi nelle
condizioni di lavorare serenamente: è un vero e proprio "mobbing" nei confronti
degli studenti che affrontano un test così strutturato, e a pagare spesso sono
anche elementi preparati. Ho cercato di ridurre gli "scambi di
informazioni" assegnando alla classe impegnata nella prova vari compiti (da
5 a 8
a seconda della consistenza della classe), differenti nella forma ma del tutto
equivalenti quanto a grado di difficoltà: basta cambiare l'ordine degli
esercizi, indicare con lettere diverse le varie grandezze, cambiare i dati, e
copiare diventa più difficile che riuscire a svolgere l'esercizio correttamente.
Altro punto in cui divergono i criteri dei docenti: la valutazione di ciascun
esercizio della prova. Alcuni colleghi procedono dando un punteggio più elevato
agli esercizi ritenuti più "difficili", più basso per quelli considerati
semplici o "basici"; si introduce così un altro elemento di distorsione, in
quanto gli esercizi semplici riguardano in genere i concetti fondamentali: la
chiara conoscenza di questi concetti, a mio avviso, deve avere un peso adeguato,
non inferiore rispetto a quella relativa ad aspetti più particolari, anche se più
complicati; per questo io ho sempre assegnato a ciascun esercizio del compito il
medesimo punteggio, da 1 a 10. Inoltre assegnare a priori ad un esercizio la definizione di
"facile" e "difficile" riserva spesso sorprese inaspettate. Corretto il
compito, sommando i punteggi di ciascun esercizio arrivavo a un punteggio
finale; fatto questo per tutti i compiti, trasformavo ciascun punteggio
in "voto" da 1 a 10. Per arrivare a questo, in genere stabilivo prima il livello
corrispondente in genere a 4, 6, 8. Il voto veniva scritto sul compito solo
dopo la correzione in classe, e dopo aver discusso e chiesto all'interessato la
sua valutazione: ho stimato che le autovalutazioni degli allievi portavano
mediamente a voti inferiori di
oltre mezzo punto rispetto a quelli da me attribuiti.
E' qui presente il
link a un prospetto
costruito per la valutazione di un compito di matematica svolto in una (numerosa!) classe prima superiore. Le lettere B e G indicano
i vari gradi di "bontà" di ciascun esercizio, punti associati da 8 a
10; lettera I grado di
"incompletezza", punti da 4 a 8; lettera E vari tipi di errore,
da 3 a 5 i punti; V non svolto.
Otto
colonne, una per ciascun esercizio; nella colonna finale il punteggio totale e
il voto corrispondente; in basso la corrispondenza tra punteggio e voto ritenuta
appropriata per quell'elaborato.
Qualche collega, preso dall'ossessione dell'"oggettività" della valutazione
(e dal desiderio di non consumare troppo tempo nella correzione degli elaborati),
negli ultimi anni si è affidato al calcolatore: esistono software che generano test
per la maggior parte delle discipline, "correggono" gli elaborati ed assegnano
automaticamente il voto.
L'insegnante che segue questa procedura pensa di liberarsi la coscienza,
rispondendo "è stato il computer" allo studente che gli chiede il
perché di un voto: invece rivela la sua totale inconsistenza. Se delega il
delicato momento della valutazione a un computer, deve lasciare a questo anche
la mansione dell'insegnamento: così almeno la scuola si libera di uno svogliato
e incapace.
Altra situazione di estremo interesse riguarda le prove orali. Spesso per
mancanza di tempo numerosi docenti le sostituiscono con prove scritte le cui
valutazioni sono poi utilizzate per assegnare il voto orale, obbligatorio per
legge. Motivazioni più ricorrenti per questi comportamenti sono la mancanza di
tempo per realizzare almeno due "interrogazioni" nel periodo previsto, e la
"difficoltà di realizzare una valutazione oggettiva delle prove orali". Ho messo
tra apici la frase precedente, perché è la sostanza di quanto ho sentito
sostenere spesso da "autorevoli colleghi". La mia convinzione è che
l'espressione verbale sia, nel quotidiano, almeno importante quanto quella
scritta, se non di più. Pertanto rinunciare alle prove orali e sostituirle
spesso con dei "testicoli" (piccoli test, e banali), oltre a un fatto illecito
è anche una dimostrazione di incapacità dell'insegnante: incapacità di
organizzare il proprio lavoro (si parla di condizioni di lavoro normali),
incapacità di esprimere un ponderato giudizio critico sulle argomentazioni
verbali prodotte dagli allievi.
Valutando le prove scritte e orali è importante far capire agli allievi che il
fine dello studio non è il numerino
rappresentato dal voto, ma l'apprendere cose nuove; ed il voto non è una "misura", intesa
in senso fisico, del "valore" della prova; sia essa scritta o verbale, il
suo "valore" è una
grandezza qualitativa; solo per semplificare, per comodità, la si
trasforma da qualitativa in grandezza quantitativa! Nel fare questa operazione
di semplificazione (trasformazione da dato qualitativo a dato quantitativo:
numero naturale n; 0<n<11 ) si
perde ovviamente una parte di informazione. Inoltre non c'è dipendenza
funzionale, nel senso dell'algebra, tra "quanto si sa" e voto: cioè anche se
l'allievo ha studiato tanto, può di tanto in tanto (sfortuna!) capitare che il voto non sia
elevato (è molto
improbabile, ma possibile, che il voto sia buono pur avendo studiato poco).
Una volta convinti che studiano per approfondire le proprie conoscenze, e non
per il voto, che rappresenta una banale appendice del sapere (pur se obbligata dalla legge), gli studenti affronteranno le prove con maggior serenità e
disinvoltura, ottenendo anche voti più soddisfacenti a parità d'impegno.