HABEMUS BANCAM! (*)
Grido di gioia del "compagno" Piero, l' imprudente
spilungone già beccato, da ministro degli esteri al
tempo della crisi nei Balcani, a dire sciocchezze compromettenti. L'esclamazione
"abbiamo la banca!" -intercettata nell'ambito dell'inchiesta sui tentativi di
scalata alla BNL- è altamente significativa e rivelatrice dei più profondi e
sinceri interessi e desideri di troppe organizzazioni politiche. In quel
caso il desiderio era costituire una grande "banca del centro sinistra" cui
poter attingere non solo la simpatia, che qualche banca già offriva.
Dall'altra parte un partito che per troppi anni è stato al governo non ha problemi: può far riferimento a imprese finanziarie e banche
nell'orbita del suo capo; la Lega Nord,
dopo il fallimento della banca Credieuronord
(Banca della Lega), ultimamente si è
ancora impegnata riuscendo ad assumere il controllo di fondazioni rilevanti
nella gestione di Unicredit; per gli esponenti del Carroccio
"radicamento nel territorio" è diventato sinonimo
di "mettere le mani su banche e aziende del territorio";
nell'ultima fase del governo Berlusconi, col suo piatto sostegno, la Lega ha
contribuito, senza farsi tanti scrupoli, a consegnare importanti settori del
paese a mafiosi e
puttanieri, salvando vari personaggi da richieste di procedimenti
giudiziari.
Ma perché questo grande interesse per le banche, se i partiti già sono
finanziati, in proporzione al loro peso, pubblicamente? Non si tratta
evidentemente, per i movimenti politici, di attingere rozzamente ai fondi dalle
banche controllate o simpatizzanti, bensì disporre di un sistema economico in cui poter
collocare amici e amici di amici, ex parlamentari e candidati "trombati" e di poter canalizzare i finanziamenti verso aziende
amiche. Si crea in questo modo un sottobosco politico-finanziario, in cui
valgono intrecci e leggi di mercato, spesso in netto contrasto con i partiti di
riferimento. Questa grossa incoerenza, che si può tranquillamente assimilare a
una forma di inquinamento sia della vita politica che di quella
economica, in Italia caratterizza, ed ha caratterizzato, anche i comportamenti
individuali nelle vicende quotidiane. Un esempio plateale è rappresentato da numerosi autori di libri, schierati talvolta in
modo violento contro un noto politico (imprenditore anche nell'editoria), che
però lo utilizzano (probabilmente) perché paga meglio:
pecunia
non olet, lo dicevano già duemila anni fa! Alcuni di questi autori,
divenuti famosi grazie a piccoli editori che li hanno sostenuti nei primi passi,
li hanno poi abbandonati per un pugno di euro in più, e si sono accasati presso
un "grande(?)" editore.
Non diversamente avviene anche per simpatizzanti e iscritti a partiti, anche a
quelli che abbracciano ideologie tendenzialmente favorevoli ad una
equidistribuzione del capitale. Come si spiegherebbe, altrimenti, la diaspora
degli ex-PCI finiti anche in quantità consistenti agli antipodi, nella Lega
Nord e nel PDL? Il discorso sembra piuttosto semplice e ne so qualcosa grazie
anche all'esperienza acquisita come iscritto PCI. Molti "compagni" pensavano
effettivamente ad una più giusta distribuzione del capitale, solo che il
capitale cui pensavano era quello degli altri; ho considerato fin dagli anni '80
a una possibile ripartizione dei "compagni" in due categorie:
A) Quelli che
pensavano: "ciò che è tuo è anche mio. Ma se credi che quel che è mio sia anche
tuo ... col cazzo!"
B) Quelli disponibili, almeno in linea di principio ed in
modo più o meno deciso, a rendere partecipi gli altri del proprio.
Superfluo
dire che la classe A era di gran lunga più numerosa e potente del gruppo B. Le
medesime considerazioni possono farsi per il PSI, che inizialmente era
addirittura meno duttile e più radicale, in molti punti, dello stesso PCI. La
situazione descritta, radicata da oltre trent'anni, può spiegare, almeno in
parte, il perché della deriva moderata, talvolta addirittura reazionaria,
avvenuta per molti personaggi dei due maggiori partiti della "sinistra" nell'Italia
della "prima repubblica".