Galliano

Galliano è tornato dopo 30 anni. Agosto 1958

Galliano Maccalé Gelsomino Donato. Per forza doveva essere incazzato col mondo, un uomo cui era stato affibbiato tanto nome! Per dire il vero Pietro Antonio (Tòni Soldato) e Giuseppina (Pina) Samaria, genitori di Galliano, scelsero nomi importanti anche per gli altri tre figli: Maddalena Gentilina (classe 1899), Giuseppe Patrizio (1901) e mio padre Dante Rizzieri (1910); Galliano era nato nel 1904. La sua infanzia fu sicuramente dura: il padre emigrato nel sud America tornava, lasciava incinta la moglie e ripartiva; così al ritorno successivo trovava il pargolo già svezzato. Ma la Pina non doveva solo procreare; doveva anche badare agli altri bimbi che crescevano, e ai lavori della campagna... E forse non era  disperata alla vigilia delle ripartenze di Tòni per le Mèriche; infatti mi hanno raccontano che cantava questa arietta:

Da Buenos Aires

in fino a Tucumàn

la povera lingéra

la partirà domàn.

(Da Buenos Aires/fino a Tucumàn/il povero buontempone/partirà domani)

Non so se effettivamente Tucumàn era il luogo di lavoro, o se invece la canzoncina era dedicata a un generico migrante.  "Lingéra": termine ampio per definire uno scansafatiche, un buontempone, un poco di buono... In realtà Tòni Soldato lavorò sodo in Argentina e Brasile, e riuscì a risparmiare quanto gli permise di acquistare prati e boschi nei dintorni di Porcen, e costruire una casona alla periferia ovest del paese. Attorno alla casa, una volta messa fine ai viaggi in America, Tòni cominciò a piantare una vigna, che ampliò man mano che il terreno veniva refondà, cioè dissodato e liberato dalle pietre che finivano nel masarόn lungo il confine. La vigna (così si chiama ancor oggi la zona ove stavano le viti) forniva vino bianco (ottenuto dalle viti "nostrane bianche") all'osteria di Lorenzo Zanella. Gli scambi con la numerosa famiglia di Lorenzo non si limitarono al vino: infatti la famiglia di Tòni Soldato fornì pure una moglie (la Gentilina) al primogenito Giacomo, e due mariti (Giuseppe e Dante) alle figlie più giovani di Lorenzo: Pasqua e Giovanna. Galliano non entrò nello scambio, e non perché mancassero altre sorelle a Pasqua e a mia madre Giovanna; Angela, coniuge di Lorenzo, era deceduta pochi giorni dopo la nascita dell'ultima figlia Giovanna, che considerò la sorella Corona, nata per prima, come madre.
Il fratello più anziano, il volonteroso e responsabile Bèpi, si dedicò all'apprendimento del mestiere di scarpèr (sarebbe diventato non un semplice riparatore di scarpe, ma un esperto costruttore di ogni tipo di calzatura, in particolare di robustissimi scarponi particolarmente apprezzati  dai solidi boscaioli di Valle di Seren; per la fama acquisita diventò noto a  tutti come Bèpi Scarpèr). Intanto il ribelle Galliano aiutava i genitori nel duro e poco appagante lavoro della terra; accumulava odi e rancori che esplodevano poi in risse in cui il giovanetto cominciò presto a distinguersi: era un forte lavoratore e generoso, ma i passaggi all'osteria lo rendevano aggressivo. La sua insofferenza si andava accumulando: il lavoro in famiglia veniva ripagato con "vitto e alloggio", non una lira in più perché non c'era; andava anche "a opera" il bravo Galliano, ad aiutare i compaesani nei lavori agricoli, a falciare il fieno sui prati del Tomatico e portarlo giù con la slitta nella stagione invernale.  Lavori pesanti e mal pagati, forse pure mai pagati. Per questo Galliano cominciò a pensare di andarsene, stimolato in quel proposito anche dall'esperienza di amici che già avevano preso la via della Francia. Infine arriva la mattinata in cui  tutto va storto: forse dissapori in famiglia, l'erba che non si lascia tagliare dalla falce che non si lascia affilare dalla cote ..., la rabbia di Galliano esplode violenta: alza la falce al cielo, poi la abbassa rapidamente a terra con la massima forza: la falce rimane per metà della sua lunghezza conficcata nel terreno; anche codèr e prìa vengono buttati accanto alla falce da Galliano che torna rapido a casa, mette quattro cose nella valigia e via, forse senza neanche salutare i parenti; mi han riferito che la falce rimase lì piantata per terra, dove era stata scagliata con rabbia, per tanto tempo: quasi i genitori avessero paura di rimuovere quell'ultimo ricordo-legame col figlio, che non avrebbero più visto. Così, a 22 anni, raggiunse gli amici in Francia e a due in particolare rimase sempre legato,  'Etore Gàvit e Jìjo Pàto; per il resto cancellò dalla vita  paese e parenti, scrivendo unicamente qualche lettera al fratello più giovane; ricordo anche (aggiungevo sempre i miei saluti a questo zio misterioso) parte dell'indirizzo cui si spedivano le lettere in Francia: Avenue de la Gare / Saint Menet / Marseille / Bouches du Rhône (poi cambiò, nella prima parte, in Les Roches Grises / Aubagne).
Passano trent'anni e un caldo pomeriggio d'agosto vedo arrivare in Saéri un signore con valigetta, piuttosto accaldato:  Galliano!  Era tornato per due settimane; anche il desiderio di rivedere les compagnons con cui aveva condiviso fatiche e avventure in terra di Francia, amici rientrati definitivamente a Porcen, sicuramente pesò nella decisione. Galliano mi raccontò qualcosa delle vicende di migrante, amato ma anche detestato dai residenti francesi, per i problemi che gli esuli dall'Italia fascista creavano, a causa del loro grande numero; mi sembra d'aver intuito anche un certo suo astio nei confronti degli esuli, che ancor più disperati dei "normali" emigrati, erano costretti ad accettare lavori anche pesanti senza pretendere un'equa ricompensa perché sempre sotto ricatto. E la sua indole focosa ebbe più occasioni per esprimersi anche all'estero: raccontò che in una pazza serata all' osteria, durante una lite con gli "indigeni", aiutato dai compagni 'Etore e Jìjo, riuscì a "buttar fuori quattordici francesi"; pensai che quei quattordici dovevano aver bevuto assai più dei tre porcenesi. Non mi parlò di un'altra vicenda, finita per lui in modo più pesante: durante una "notte brava" sfasciò un ristorante, e fu condannato a lavorare lì per otto mesi per risarcire il danno (informazione di un figlio di 'Etore). Nelle due settimane di vacanza feci con lui delle belle passeggiate: desiderava ritornare sui luoghi che gli richiamavano eventi del periodo giovanile; passando a Nord del Còl mi indicò un'abitazione, e mi chiese se sapevo che vi abitasse un signore di cui mi disse il nome; mi raccontò che da giovane gliele aveva suonate di santa ragione, "per motivi validissimi". In altra occasione mi preoccupò parecchio. Mi chiese "Sai dove abita el Min Munèr?"  naturalmente lo sapevo, abitava accanto a mio cognato. "Ora vado a dargli una lezione; allora l'ho risparmiato perché era un bòcia,  adesso finalmente posso cresimarlo". Poi mi guardò sorridendo, aveva capito quant'ero in disagio e mi raccontò il motivo del desiderio di vendetta covato tanto a lungo nel tempo. Stava sui "Pra de Tomàdech" il giovane Galliano, assieme ad altri segantìn, per lo sfalcio del fieno. Arriva ora de polenta e, essendo il più giovane del gruppo, viene mandato a chiedere un po' d'acqua giù alla malga Cristi-Munèr. Qui trova il ragazzo, di sei anni più giovane,  che senza esitare (la cosa lo doveva insospettire: l'acqua lassù è un bene assai prezioso!) la va a prendere e torna con un po' di liquido, più che sufficiente per una bella polentona. Il colore paglierino del liquido non crea preoccupazione: acqua de fossa, non la si può mica pretendere pura! Ma una volta versata nella pentola e riscaldata, l'acqua rivela, grazie all'inconfondibile profumo, la sua vera essenza: pìss de mùl! E anche prodotto da un arcinoto animale, il mitico mussàt de Munèr! Comprensibile dunque il motivo di tanto odio per il Mino.
In seguito, dopo una decina d'anni, ricambiai la visita andando in Provenza tre giorni; non fu difficile trovare le due stanzette in cui dimorava, sulle assolate colline sopra Aubagne: "monsieur de Cet" era conosciuto e benvoluto dal vicinato, per la sua generosa disponibilità. Rimasi però assai sorpreso nel vedere una cassettina con munizioni e due rivoltelle, e la doppietta  appesa al muro; avevo dimenticato la vicinanza di Marsiglia! Infatti Galliano mi spiegò che un "marsigliese" gli aveva promesso di andarlo "a trovare".  "Vieni pure, troverai pane per i tuoi denti" fu la risposta. E Galliano si attrezzò, ma il marsigliese non si fece vedere.
Parlò, in quell'occasione, delle sofferenze patite nel paese d'origine, della fatica enorme a sbalf(h)àr la neve par portar la lat al casèl, lontano 1km dall'abitazione; lì in Provenza la neve non dura più di un giorno, il fastidio maggiore è un po' di vento. E parlò della mancanza di lavoro e della impossibilità di condurre una vita decente in quel paese.
Da pensionato, le sue occupazioni erano curare l'orto, accudire le galline, degustare con frequenza troppo elevata due dita (in piano, diceva Galliano, non verticali, che sarebbe stato troppo) di beaujolais: gli chiesi se sarebbe  tornato al paese da cui era partito quasi cinquant'anni prima. Risposta: "In quei maledetti paesi dove ti fa due metri di neve, mai!  neanche dopo morto"

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